Chiuse per decreto o fortemente limitate nelle loro attività, eppure per le imprese i balzelli continuano a correre anche quando il buon senso indicherebbe il contrario. È il caso, per esempio, del Regio decreto numero 246 del 2 febbraio 1938, il famigerato canone speciale Rai che ogni impresa deve pagare se in possesso di un apparecchio radio o di un televisore che va da un minimo di 29,94 euro per la radio a un massimo di 6.789 euro per la tv degli hotel (l’importo varia in base al numero di stelle e di camere), passando per i 407,35 dei pubblici esercizi e i 203,70 di negozi e botteghe.

Oppure dell’abbonamento Siae per musica di sottofondo, calcolato in base ai mq dei locali, al numero degli apparecchi (proponendo anche soluzioni flat tutto compreso) e alle stelle degli hotel, che va da 49 a 799 euro per i pubblici esercizi, da 32,10 a 492,20 per negozi e laboratori, da 48,60 a 782,30 per le strutture ricettive.

“Spese inopportune perché molti degli abbonati sono proprio coloro che hanno subìto e stanno ancora subendo le maggiori ripercussioni economiche della pandemia – spiega il presidente di CNA Firenze Metropolitana, Giacomo Cioni – Sostenere il servizio pubblico radiotelevisivo e difendere il diritto d’autore sono doveri sacrosanti, ma in questo periodo, quanto meno, i costi andrebbero riparametrati sui giorni di apertura effettiva, o meglio ancora sulla base della diminuzione di fatturato accusata dalle imprese. Invece, ad oggi, c’è solo una proroga nel pagamento: il 31 marzo per la rai e il 30 giugno per la Siae”.