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“La biodiversità sta nell’impollinazione, nel colore e nel profumo dei fiori e delle foglie. Nella diversa tonalità che hanno le piante per attrarre gli uccelli, gli insetti, i virus, i batteri…”: parte da qui, papà Leonardo. Dalle sinergie con la terra e dai delicati equilibri dell’ecosistema per spiegare l’anima delle Sette Aje, azienda agricola a Santa Margherita di Belice, nell’agrigentino. Una storia d’impresa, ma soprattutto di famiglia, quella che raccontiamo in CNA Storie di marzo. Perché tra questi ulivi e questi vigneti si intrecciano le vite di quattro generazioni. Quelle della famiglia Cannata. Tante ne sono passate, da quando nonno Leonardo acquistò i terreni da Canaddunaschi: signorotto locale, detto cane a due narici, perché dotato di un fiuto particolare per gli affari. Dopo nonno Giovanni e papà Leonardo, agronomo, il testimone è passato alle quattro sorelle, Rosalia, Cristina, Agata e Gabriella, che hanno trasformato i terreni della famiglia Cannata in realtà imprenditoriale. Sotto l’occhio attento di mamma Nina e Nonna Rosalia. “Mio padre pensava di poter non vendere” dice Cristina. “Semplicemente non pensava che da questa attività potesse derivare un guadagno”.

L’esperienza di Cristina e Rosalia al servizio de Le Sette Aje

Cristina e Rosalia, entrambe una laurea alla Bocconi e master all’estero, un giorno decidono di mettere al servizio delle Sette Aje la loro esperienza di studi e specializzazione. “Abbiamo capito che i territori hanno bisogno di essere valorizzati” spiega.

Nel 2019 l’azienda viene selezionata tra le finaliste del Premio Cambiamenti, il riconoscimento di CNA dedicato alle start up innovative.

“Anche riprendere l’autoctono vuol dire fare innovazione” dice Cristina. “Papà probabilmente non sapeva neanche bene cosa significasse start up, e cosa innovativa: ma in realtà stava facendo innovazione insieme a noi”. Il vero innovatore è proprio Leonardo, che ha sperimentato il protocollo agromeopatico per curare le piante, iniettando i germi depotenziati della malattia. Generando un circuito prezioso: “C’è un concetto di ecosistema. L’energia tra le piante si trasmette perché la pianta più forte è in grado di aiutare la pianta più debole. Questo ci consente di azzerare la componente di rame e zolfo, andando oltre il concetto di biologico e biodinamico” spiega Cristina.

Anche riprendere l’autoctono vuol dire fare innovazione

La strada dell’agromeopatico: una scelta coraggiosa

Ma voler la preservare la natura ha i suoi costi: applicare il protocollo agromeopatico comporta delle spese che superano anche il 130% delle tradizionali pratiche agronomiche. Una scelta difficile in tempi normali, ma ancora più coraggiosa se si pensa che, per la pandemia, l’attività è rimasta in stallo per tre mesi. Fino a quando le sorelle Cannata scelgono di affidarsi all’ecommerce, “una scelta importante, che ha a sua volta comportato dei costi. Ma abbiamo cercato di fare relazioni, per farci forza con gli altri”.

Applicare il protocollo agromeopatico comporta delle spese che superano anche il 130% delle tradizionali pratiche agronomiche

In ogni bottiglia ci sono i sapori dell’infanzia e le immagini evocative di un legame indissolubile con la terra e con gli affetti. “Le Sette Aje è il nome deciso da papà: prende origine dalla strada ritrovata nelle antichissime mappe della nostra zona”. Il perché resta un piccolo mistero. Che aggiunge magia a questa favola tanto fantastica, quanto reale.