L’Italia torna in deflazione e tocca i minimi da oltre mezzo secolo: dopo la variazione nulla di dicembre, a gennaio l’indice dei prezzi al consumo diminuisce dello 0,6% rispetto a gennaio 2014, il livello più basso dal settembre 1959 (-1,1%). Su base mensile il calo è dello 0,4%. Lo comunica l’Istat diffondendo le stime preliminari.

L’istituto di statistica spiega che la flessione su base annua dell’indice generale è dovuta in larga misura all’accentuarsi della caduta tendenziale dei prezzi dei beni energetici, in particolare di quelli non regolamentati (-14,1%, da -8,0% di dicembre) e al rallentamento della crescita annua dei prezzi dei servizi, con particolare riferimento a quelli dei servizi relativi ai trasporti (+0,2%, da +2,0% del mese precedente).

Per la prima volta dopo 50 anni il nostro Paese deve fare i conti con questo fenomeno economico dalle chiare cause e dai molteplici effetti. L’abbassamento del prezzo del petrolio non è l’unica causa della situazione deflattiva italiana che è anche chiaramente derivante da un netto calo della domanda aggregata.

La lunga crisi ha portato nell’immediato ad una seria erosione della quantità di risparmio delle famiglie italiane che hanno provato a mantenere lo stesso tenore di vita del periodo pre-crisi, sperando in una emersione veloce dalla situazione di difficoltà. Confidando in una fase di passaggio, la quantità di risparmio è così calata nel primo periodo di crisi fino a stabilizzarsi nel tempo. In un momento di timida ripresa dunque si tende ad accumulare maggiormente risorsa nella speranza di un’accelerazione dell’economia. Tale risparmio causa un calo di domanda aggregata che, oltre a portare ad un abbassamento del livello dei prezzi, riduce la produzione aggregata e di conseguenza l’occupazione spingendo verso un nuovo calo di domanda.

Per combattere tale fenomeno si ricorre banalmente ad iniezioni di denaro da parte delle banche centrali, è stato così in Giappone nel 2000, negli USA nel 2008, in India di recente. Il rischio di un aumento della massa liquida a disposizione, se non controllato, può portare a processi di speculazione e non ad investimenti immediati. Ecco perchè, con il Quantitative Easing, la BCE ha deciso un intervento massiccio ma diffuso mensilmente in un periodo che supera i 15 mesi. Questo al fine di mitigare l’eventuale fuga speculativa di risorsa e spingere i paesi al centro di tale intervento (come l’Italia) a supportare, con chiare riforme, gli investimenti pubblici e privati.

Non ci si può dunque aspettare, dall’intervento della BCE, un effetto immediato nell’economia del paese a meno che, sin da adesso, il Governo non riuscisse a stimolare fiducia degli investitori attraverso agevolazioni fiscali e semplificazioni burocratiche su alcuni settori traino. Questo potrebbe avere un duplice effetto: da una parte incentivare gli investimenti dei privati avviando l’inversione del processo deflattivo, dall’altra potrebbe indirizzare il riposizionamento economico italiano nei mercati esteri, quantomeno su alcuni settori chiave.

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