Il custode dei miti su due ruote. Dalla prima maglia gialla alla nuova Graziella
E’ l’amministratore unico di un’impresa che fatto la storia del ciclismo e anche un po’ degli italiani. Con Ottavio Bottecchia, il primo italiano a vincere il Tour de France, nel 1924, indossando la maglia gialla dalla prima all’ultima tappa e, la Graziella, la prima bici pieghevole della storia. “Sono nato in mezzo alle biciclette – racconta Diego Turato, 58 anni – e appena terminati gli studi, senza nemmeno riflettere, mi sono ritrovato con telai e arnesi da lavoro tra le mani”.
Diego Turato inizia nella piccola azienda di famiglia del padre, insieme ai fratelli maggiori. Nel 1988 il primo passo: crea una nuova società con un’altra azienda e inizia la produzione industriale di biciclette. Ma il vero salto è nel 1995, quando ha l’opportunità di rilevare il marchio Bottecchia.
“La famiglia Carnielli, storica proprietaria del marchio – racconta – in seguito a una crisi economico-generazionale, dichiarò il concordato fallimentare e noi subentrammo. Nel ’95 rilevammo il marchio Bottecchia e successivamente fondammo la Bottecchia cicli srl. Una grossa responsabilità, un’eredità importante, ma anche un grande traguardo, perché ancora oggi a livello internazionale siamo considerati tra i primi marchi al mondo nel settore delle bici da corsa”.
Bottecchia da sempre è sinonimo di ciclismo e corse, un tempo anche in veste di sponsor. “Dopo il grande Ottavio, nell’89 ci fu la vittoria del Tour de France con Greg Lemon, nel 2011 della Tirreno Adriatica e una tappa del Giro d’Italia con Stefano Garzelli e nel 2012 sempre con lui e sempre al Giro vincemmo una cronoscalata. Purtroppo fu la nostra ultima esperienza da sponsor in competizioni di prima categoria – racconta Turato -. I costi sono diventati troppo elevati e ormai appannaggio di imprese cinesi, taiwanesi, americane, contro le quali è difficile competere. Continuiamo a sponsorizzare team in competizioni di secondo livello”.
Ma sul mercato, invece, il marchio Bottecchia ha continuato la sua corsa senza arrestarsi.
Quarantacinque dipendenti, 13 milioni di euro di fatturato, 45 mila biciclette prodotte e assemblate interamente in Italia ogni anno, il 35% delle quali vendute all’estero. Dalle bici per bambini, alle mountain bike, a quelle da corsa, fino alle biciclette elettriche e alla ‘rediviva’ Graziella.
“Fu la prima bicicletta pieghevole al mondo, inventata nel 1964 da Carnielli – racconta Turato – e divenne presto un’icona mondiale, con testimonial come Dalì o Brigitte Bardot. Negli anni ’70 era presente praticamente in ogni famiglia, oggi certo non possiamo pensare di arrivare a quella diffusione, ma da tre anni l’abbiamo rilanciata, in cinque modelli, che stanno suscitando apprezzamento”.
Ma qual è il trend di vendita delle biciclette, alla luce anche di una cresciuta sensibilità verso temi come la mobilità sostenibile?
“L’Italia non è seconda a nessuno per numero di appassionati e agonisti: sono circa 500 mila quelli che usano abitualmente la bici da corsa. Ma da noi la bicicletta è concepita soprattutto per lo sport e il tempo libero, non come mezzo di trasporto e mobilità, come invece nel Nord Europa. Certo, la mancanza di piste ciclabili e strutture non aiuta. Così come di incentivi strutturali. Basti pensare che in Italia si vendono 50 mila bici elettriche l’anno, in Germania 600 mila e che negli anni ’90 l’Italia esportava 4 milioni di biciclette, oggi ne esporta un milione”.
“Il mio prossimo traguardo? Internazionalizzare di più l’impresa, ma per questo abbiamo bisogno di un aiuto maggiore da parte dello Stato, che per quanto dice non sta facendo molto. Fare impresa oggi in Italia è davvero molto difficile. Noi siamo molto legati al territorio, ai dipendenti e alla nostra storia, andarcene sarebbe una scelta dolorosa, oltre che impegnativa. Servirebbe una grossa spinta, che, per il momento (per fortuna), non abbiamo”.