Il ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali spiega come sia possibile intervenire per cambiare un modello che oggi appare non più sostenibile. E apre alla proposta della CNA basata sulla creazione di filiere territoriali di welfare in cui pubblico, privato e terzo settore collaborino insieme. “Visione – dice – coerente con la nostra idea”. 

Eccolo il Poletti-pensiero sul welfare. Il ministro va spiegando da tempo quanto sia importante immaginare un nuovo modello in cui la parola d’ordine è collaborazione. Collaborazione fra tutti gli attori e gli strumenti con il solo input di mettere al centro la persona e i suoi bisogni. La sua idea – ribadita più volte – resta quella di cambiare il paradigma: nulla è dovuto, tutti devono dare una mano e si riceve in base al bisogno. Questo vale in tema di assistenza, sanità, pensioni. Materia, quest’ultima, per cui il ministro non esclude, in prospettiva futura, una rivisitazione della Legge Fornero a favore dei soggetti con maggiore necessità. Non senza prima aver sistemato la questione aperta dalla sentenza della Corte Costituzionale che ha rimosso il blocco della rivalutazione delle pensioni superiori a tre volte il minimo nel 2012 e 2013. Infine, mettendo in discussione un tabù sugli assegni per la non autosufficienza, rivela: “I bisogni dei non autosufficienti spesso non coincidono con la mera erogazione di un beneficio economico. E’ necessario un intervento riformatore. Stiamo valutando cosa fare con il ministro della salute Beatrice Lorenzin”. 

 

Ministro, appena qualche settimana fa è stato varato il DEF in cui si mettono nero su bianco le riforme che il Governo vuole fare nei prossimi anni. Non sembra esserci, però, un grande ‘Piano’ di riforma del welfare italiano che già oggi, così com’è, non sembra essere più sostenibile ed è lasciato al ‘fai da te’ delle famiglie. Al di là della riforma del Terzo settore, qual è la sua idea di welfare dell’era 2020?

La nostra esigenza è quella di costruire una copertura universale, che risponda ai bisogni di tutti i cittadini e, contemporaneamente, abbia il massimo di efficacia e di efficienza. Per questo serve un meccanismo di forte integrazione tra le diverse componenti: sanitaria, assistenziale, previdenziale. Si tratta, cioè, di costruire una rete fortemente integrata, capace di prendersi in carico il cittadino; di far co-agire le diverse strumentazioni a partire dai bisogni delle persone. L’idea per il futuro del welfare, insomma, è: meno settorializzazione e verticalizzazione, più integrazione e partecipazione responsabile e consapevole da parte di tutti i soggetti. Naturalmente, questo significa anche riordinare tutte le strumentazioni utilizzate finora, perché in non pochi casi il welfare italiano si è realizzato attraverso strumenti passivi, cioè essenzialmente con trasferimenti monetari, e, in misura molto minore, attraverso una capacità complessiva del sistema di erogare servizi e risolvere i problemi dei cittadini.

Quindi?

Quindi, da questo punto di vista, l’idea del welfare del futuro è molto più centrata sulla condizione della persona, sulla capacità complessiva del sistema di prendersi carico delle singole situazioni. Ed ha bisogno di una forte integrazione delle diverse filiere, a partire da un forte presidio del territorio, perché noi dobbiamo fare in modo che tutti i cittadini possano trovare una risposta, per quanto possibile, mantenendo le migliori condizioni di vita; e questo vuol dire domiciliarità, relazione con il territorio, modelli e condizioni di vita il più possibile coerenti con le proprie situazioni personali e familiari.

Che ne pensa, allora, di un sistema integrato pubblico-privato-terzo settore  con la creazione di veri e propri distretti o filiere di welfare sul territorio, organizzati anche con tecnologie digitali e fruibili mediante voucher digitalizzati, un sistema che sia in grado di rispondere alla domanda di cura e accudimento di anziani e bambini nelle famiglie ma anche di servizi legati alle grandi innovazioni tecnologiche, si pensi solo alla telemedicina, alla domotica, alle smart home technologies?

Penso che sia una risposta coerente alla nostra visione di nuovo welfare, che avrà componenti pubbliche, private e del privato sociale. In questo sistema c’è un obbligo della collettività di garantire dei livelli essenziali di prestazioni a tutti i cittadini; ma sappiamo anche che sta già crescendo un’area di “welfare di mercato” che si realizza attraverso previsioni nei contratti di lavoro e forme di assicurazione individuale. L’integrazione tra la prestazione pubblica e la possibilità di trovare una risposta sul mercato è già oggi un elemento importante del nostro sistema, così come lo è una forte presenza del volontariato, dell’associazionismo, del terzo settore; di tutti i soggetti che fungono da facilitatori, a volte in una forma positiva di sussidiarietà, altre volte in una forma di sostituzione che è meno virtuosa, perché diventa una risposta a una carenza della prestazione pubblica. Questo impianto deve essere confermato e migliorato, se guardiamo al futuro, in una logica di progettazione preventiva. Oggi una parte significativa dell’intervento del terzo settore è un atto volontario che arriva a posteriori, di fronte a carenze del sistema. Il nuovo impianto prevede, invece, che questa partecipazione sia preventivamente considerata e valutata, entri nella progettazione del nuovo welfare. Da questo punto di vista, deve essere chiaro che il pubblico, nella nostra impostazione, non diventa esclusivamente quello che detta le regole: ci saranno prestazioni che continueranno ad essere erogate anche direttamente dal pubblico, mentre ce ne saranno altre che potranno essere erogate più congruamente da parte del terzo settore, dell’associazionismo e, in parte dal mercato. Qui c’è, appunto, un concetto generale che è quello di congruità: noi dobbiamo garantire a tutti i cittadini una risposta, e dobbiamo garantirgliela anche in ragione delle loro condizioni di reddito e delle diverse situazioni personali, producendo il massimo di efficienza del sistema.

Pensioni. La Corte Costituzionale ha bocciato il blocco della rivalutazione delle pensioni superiori a tre volte il minimo. Cosa succede ora?

Ovviamente le sentenze si rispettano. E’ ancora presto per fare valutazioni, faremo quello che si deve fare e studieremo la soluzione più idonea.

Sulle pensioni però era in corso un dibattito sulla rivisitazione della Legge Fornero.  Si può continuare a pensare – almeno in prospettiva – a innalzare gli assegni più bassi, magari con lo strumento degli 80 euro?

Vedremo cosa succederà. In ogni caso, se ci dovessero essere risorse a disposizione in futuro, l’orientamento resta quello di effettuare un intervento sul piano sociale, a favore della parte più debole della società. Se si confermerà questa decisione, vedremo quali possano essere gli strumenti più idonei per renderla concreta. Voglio aggiungere, per quanto riguarda le pensioni su un piano più generale, che il tema di una revisione della legge vigente è molto delicato ed impegnativo, perché da una parte incrocia legittime aspettative di tante persone e, dall’altra, deve fare i conti con le compatibilità di bilancio ed i vincoli comunitari. Credo che il tema potrà essere affrontato in sede di definizione della prossima legge di Stabilità e, in ogni caso, l’attenzione dovrà essere, anche qui, rivolta principalmente ad affrontare il problema dei soggetti in condizioni di maggiore difficoltà, come le persone che hanno perso il lavoro e sono vicine alla pensione, ma non hanno ancora maturato i requisiti necessari ad ottenerla.

Cosa ne pensa di una eventuale rivisitazione dell’erogazione cash dell’assistenza, cominciando a elargire ai non autosufficienti servizi e non più assegni?

È indubbio che, nel nostro paese, in passato sono state fatte scelte – di cui oggi registriamo le conseguenze- volte a favorire l’intervento monetario rispetto allo sviluppo di una rete qualificata di servizi. Con il risultato che sono sostanzialmente le famiglie a doversi far carico della persona non autosufficiente, o direttamente o rivolgendosi ad un mercato del tutto non regolamentato come quello delle “badanti”. Ritengo che sia necessario un intervento riformatore che abbia al centro una risposta integrata, sociale e sanitaria, focalizzata sui bisogni della persona con disabilità e non autosufficiente, bisogni che spesso non coincidono con la mera erogazione di un beneficio economico. Va indubbiamente tutelata la possibilità di scelta dell’utente e il lavoro di cura del familiare, ma la priorità – visto lo stato dei nostri servizi – credo sia quella di favorire una presa in carico personalizzata e professionale volta ad individuare i “sostegni” di cui la persona necessita nella sfera delle attività essenziali della vita quotidiana, avendo cura anche della vita sociale e relazionale di base. Ne stiamo discutendo con la collega Lorenzin e i nostri tecnici hanno cominciato a lavorare alla definizione di un quadro di interventi che – inizialmente in una logica sperimentale e d’intesa con le Regioni – possa cominciare a coinvolgere in questa prospettiva almeno alcune aree del nostro paese.

Nella Legge di Stabilità 2015 si prevede, per i Patronati italiani, l’apertura a tutta un serie di nuove attività. Siamo in attesa dei decreti. Sono in arrivo e qual è la sua visione del ruolo che potrebbero avere questi enti nel futuro?

Le modifiche che la Legge di Stabilità 2015 ha apportato alla disciplina dei Patronati (definita nella legge 152/2001) affida al Ministero del Lavoro il compito di predisporre sei decreti attuativi, quattro dei quali da emanarsi entro il termine, non perentorio, del 30 giugno di quest’anno.  Gli uffici del Ministero hanno già elaborato gli schemi di cinque decreti, sui quali saranno sentiti prossimamente i patronati: uno in materia di requisiti per la costituzione e il riconoscimento degli istituti di patronato, quattro relativi alle “attività diverse”, rispetto a quelle istituzionali che gli istituti stessi possono svolgere, previste dall’articolo 10 della legge 152/2001 (come riformulato dalla legge di stabilità 2015). Per il sesto decreto, sempre in materia di “attività diverse”, data la sua particolare complessità, sono in corso ulteriori approfondimenti con l’Ufficio legislativo.

Cosa prevedono gli schemi dei decreti?

Questi decreti individuano nuovi e diversi settori di attività che, pur riconducibili nell’ambito della tutela e dell’esercizio di diritti, si differenziano da quelli per i quali continua ad operare il finanziamento pubblico ai sensi dell’articolo 13 della legge 152/2001. Le novità introdotte dalla legge di stabilità per il 2015 rafforzeranno il ruolo degli istituti di patronato e di assistenza sociale come soggetti privilegiati nei rapporti con enti privati e pubblici, in grado di offrire il proprio contributo informativo, di consulenza e di assistenza tecnica in varie materie: previdenza e assistenza sociale, diritto del lavoro, sanità, diritto di famiglia, fisco, tutela e sicurezza sul lavoro.

di Livia Pandolfi