In occasione del Midem, uno dei maggiori eventi internazionali per l’industria musicale, è stato presentato “Mapping the Creative Value Chains. A study on the economy of culture in the digital age”, uno studio voluto dalla Commissione Europea (Dg Eac) per valutare l’impatto della digitalizzazione sul settore culturale e creativo:

  • arti visive,
  • arti performative,
  • beni culturali,
  • artigianato artistico,
  • editoria,
  • industria musicale cinematografica,
  • Tv,
  • telecomunicazioni e multimedia.

L’obiettivo del documento è quello di proporre delle azioni concrete per affrontare al meglio la rivoluzione digitale in un settore che occupa 8,3 milioni di persone e che sta diventando sempre di maggiore importanza per le politiche sociali europee.

Nello specifico, lo studio analizza l’impatto che la rivoluzione digitale ha avuto sulle diverse catene del valore, sulla base del modello teorizzato da Micheal Porter nel 1985, permette di descrivere la struttura di un’organizzazione come un insieme definito di processi. Si tratta dell’analisi delle attività che intervengono per raccontare la storia di un prodotto, dalla sua concezione alla sua fruizione da parte del consumatore finale, con un focus sul valore economico che si genera in ogni fase. Questo tipo di indagine, che si pone tra la statistica e l’analisi qualitativa, risulta ideale per un settore le cui dinamiche non sono sempre lineari e in cui la creazione di valore economico non è sempre così chiaro come per altri settori industriali.

Nonostante i prodotti artistici e culturali non siano stati mai ‘consumati’ tanto quanto oggi grazie a una maggiore presenza di contenuti sul web, gli introiti non sono minimamente proporzionati al loro consumo. Uno dei domini più intimamente colpiti è stato quello dell’industria musicale dove la digitalizzazione ha cambiato il modo in cui la musica viene consumata e quindi monetizzata: i ricavi dalle vendite sono crollati del 60% tra il 2000 e il 2015.

Per quanto riguarda il settore delle arti visive l’impatto non è ancora stato così forte. Nelle prime due fasi della catena, creazione e produzione, l’impatto della digitalizzazione è stato di due tipi: tecnico, infatti è possibile utilizzare software CAD per la modellazione o realizzazione di opere; e di reperimento fondi, grazie al web si possono attivare campagne di crowdfunding e accedere più facilmente a diverse opportunità di finanziamento.

Le altre due fasi della catena, distribuzioni e consumo, sono quelle che maggiormente hanno subito un impatto, soprattutto per la fase di consumo dell’opera grazie alla digitalizzazione di alcuni musei e alla creazione di archivi open source su piattaforme gratuite come Pinterest, Wikimedia, Google art Project, Google Images, Curiator, Artstack etc che hanno reso i contenuti più accessibili. Per quanto riguarda il processo di monetizzazione, invece, questo è rimasto pressoché lo stesso poiché la maggior parte delle vendite continua a essere gestite da gallerie, case d’aste e fiere d’arte. Secondo l’ultimo rapporto del Tefaf, il 64% dei galleristi vendono già online e un altro 16% ha intenzione di andarci nel giro dei prossimi cinque anni; nonostante ciò, a fronte di circa 26 miliardi di euro di volume d’affari, meno di un miliardo proviene dalle vendite online (Tefaf Art Market Report 2017).

Il diritto d’autore. Parallelamente, però, il prolificare di opere d’arte online, pone anche implicazioni relative al diritto d’autore: molti siti pubblicano soltanto una porzione dell’immagine per non pagare alcuna licenza deprivando gli artisti della loro paternità, ricavi e possibilità di controllare le informazioni relative all’opera. Questi aggregatori, oltre a fornire informazioni riguardo le opere d’arte più storicizzate, consentono anche ai giovani artisti di pubblicare gratuitamente i propri lavori permettendogli di autopromuoversi e di vendere online senza l’intermediazione delle gallerie. 

Soprattutto per la possibilità di raggiungere nuovi pubblici, non si può negare l’impatto positivo che la digitalizzazione sta avendo sul comparto culturale, ma allo stesso tempo è necessario riflettere sulle necessità specifiche di un settore sui generis. Infatti, se è vero che l’utilizzo degli strumenti digitali ottimizza distribuzione e consumo, è necessario altresì non lasciare che impatti negativamente sulla fase di ideazione e produzioni: i due momenti della catena in cui si genera valore. Per questo motivo è necessario tutelare i processi creativi garantendo, in primo luogo, una corretta applicazione del diritto d’autore, soprattutto rispetto a quello gestito dalle piattaforme. 

Per il report completo visita:https://ec.europa.eu/culture/news/20170606-new-study-creative-value-chains_en