Il 2020 anno funesto per le librerie italiane

È di oggi la notizia che la libreria Paravia a Torino, la seconda più antica d’Italia, ha chiuso i battenti il 28 dicembre per le festività natalizie e non riaprirà.

A Roma l’inizio dell’anno ha visto la chiusura di due centralissime librerie della catena “Feltrinelli”, ma già negli scorsi mesi la Capitale ha perso una serie di librerie storiche, proseguendo la scia negativa che dura ormai da dieci anni: 223 attività librarie hanno abbassato le saracinesche.

Gli effetti della globalizzazione e delle vendite on-line stanno provocando chiusure a raffica. L’offerta culturale viaggia sempre più sui canali del commercio elettronico.

Una lenta ma progressiva morìa di imprese in un Paese che pure ogni giorno dice di voler investire nel settore culturale. I dati che arrivano dalla CNA di Pesaro e Urbino indicano un trend rivelatore della situazione italiana. Negli ultimi tre anni, nella provincia marchigiana hanno chiuso più di dieci librerie.

“Ci preoccupa la lenta, ma continua chiusura di attività storiche – riflette il segretario della CNA di Pesaro e Urbino, Moreno Bordoni – librerie, negozi di dischi e di strumenti musicali che rappresentano nel loro piccolo un patrimonio di bellezza, di conoscenza e che spesso negli anni sono diventati anche punto di scambio e di confronto; dei veri e propri luoghi del sapere. La loro perdita, specie nei centri storici, costituisce un danno irreparabile e non c’è nessuna manifestazione, rassegna, festival che possa sopperire a queste perdite. Anzi, occorrerebbe tutelare queste attività, almeno quelle rimaste, consentire loro di entrare nel circuito delle iniziative culturali in modo che diventino punto essenziale delle attività di promozione e diffusione della cultura.”

A sorpresa, i dati elaborati dal Centro Studi di CNA Pesaro-Urbino, danno un quadro meno negativo di tante altre realtà italiane. Infatti, nel settore culturale, le librerie chiudono, ma tengono le edicole e rivendite di giornali (erano 104 nel 2016 e sono 102 oggi), le imprese di produzione cinematografica e videoproduzione (erano 34 nel 2016 e 32 oggi); le attività editoriali passate da 44 a 42. Dopo la chiusura nei primi dieci anni del Duemila (conseguenza della moltiplicazione delle multisale), tengono a sorpresa anche i cinema tradizionali il cui numero (16) è rimasto sostanzialmente invariato. Unico settore in controtendenza è quello delle attività di supporto alle rappresentazioni artistiche (service audio e video; noleggio attrezzature eventi; etc.). Le attività registrate alla Camera di Commercio in questo campo multiforme e sempre più specialistico sono aumentate passando da poco più 20 a 34 in soli tre anni.

Crescono esponenzialmente, invece, le manifestazioni culturali, che in provincia creano un importante indotto economico. I dati dimostrano che la provincia di Pesaro e Urbino è la seconda delle Marche dove i turisti hanno speso di più in cultura. Le imprese culturali e creative marchigiane nel 2018 hanno prodotto un valore aggiunto di 2,2 miliardi di euro pari al 6 per cento dei 37,4 miliardi prodotti dall’economia della regione.