In Sardegna l’export tiene. Lo zavorrano solo i prodotti petroliferi

L’export della Sardegna rischia di uscire devastato dalla crisi sanitaria. In base ai dati provvisori Istat, nel 2020 il valore delle vendite all’estero di prodotti sardi si è contratto del -41% contro il -9,8% medio nazionale. Si tratta della performance peggiore registrata tra tutte le regioni italiane: la Sicilia, penultima regione italiana in questa classifica ha subito un calo pari a quasi alla metà di quello registrato in Sardegna. Ma l’ultimo report del Centro studi CNA Sardegna evidenzia anche una discreta resilienza di questa importante componente dell’economia isolana.

Il pessimo risultato registrato lo scorso anno sconta infatti la drammatica crisi di un singolo settore, quello della lavorazione di prodotti petroliferi, ma il resto ha resistito. Bene soprattutto il comparto della lavorazione dei metalli, in grado di crescere significativamente e guadagnare importanti quote di mercato. Trend positivo anche per le vendite agroalimentari nella seconda parte del 2020, alimentate dall’export di prodotti lattiero caseari, con il pecorino che ha registrato un vero e proprio boom di vendite nell’ultimo trimestre, grazie soprattutto alla crescita della domanda proveniente dagli Stati Uniti.

Osservando i dati regionali, appare evidente come l’effetto della crisi sulle esportazioni si sia manifestato soprattutto a cavallo del primo lockdown generale. Tra aprile e giugno il calo del valore dell’export è stato del -67%, mentre nei trimestri successivi la situazione è solo leggermente migliorata, con cali del -48 e -43% rispettivamente.

“Se la situazione sanitaria non dovesse precipitare, la congiuntura internazionale potrebbe riservare interessanti opportunità per l’export della Sardegna” – commentano Pierpaolo Piras e Francesco Porcu, presidente e segretario regionale CNA Sardegna. “In un contesto di ripresa dell’economia mondiale ci si attende una crescita importante dell’export petrolifero, mentre il trend positivo per i prodotti in metallo potrebbe proseguire. Inoltre, la fiducia nella ripresa economica negli Stati Uniti, il principale mercato di sbocco per le produzioni agroindustriali dell’Isola, e le aspettative di una normalizzazione in ambito di politiche tariffarie della nuova amministrazione Biden, potrebbero sostenere la crescita della domanda di prodotti sardi, non solo in ambito lattiero caseario. Inoltre, se i numeri dell’epidemia dovessero continuare a mantenersi sotto controllo, come nella fase attuale, i prodotti alimentari regionali potrebbero esse visti come più sicuri e le esportazioni trarne beneficio”.

Per questo, secondo i vertici CNA Sardegna, “risulta fondamentale riuscire a cogliere le opportunità offerte da questa fase rafforzando l’immagine dell’isola e dei suoi prodotti, con l’obiettivo di acquisire e aumentare quote di mercato nel settore agrifood, non solo per il tipico prodotto caseario, ma anche per il settore delle bevande (in primo luogo il vino, ma anche birra e bevande non alcoliche), dei prodotti da forno e del settore oleario”.

 

La crisi del comparto petrolifero

Come detto, il crollo dell’export regionale è fortemente correlato con le dinamiche del mercato petrolifero. Il valore delle esportazioni di prodotti petroliferi raffinati rappresenta infatti mediamente l’80% dell’export regionale. Il prezzo Brent è crollato del -70% tra il 22 gennaio (la data in cui è stato annunciato il primo contagio) e il 21 aprile, quando ha raggiunto i 19 dollari al barile, salvo poi risalire a maggio, ma rimanendo su un livello pari alla metà della media di gennaio. Il prezzo è risalito nel trimestre estivo, salvo poi indebolirsi nuovamente tra settembre e fine ottobre, a causa della recrudescenza della pandemia.

Lockdown economico e restrizioni alla circolazione hanno comportato, rispetto al 2019, un crollo dei consumi globali quantificabile in circa il -5% nel primo trimestre dell’anno e intorno al -21% nel secondo trimestre (dati EIA), mentre ritardi nell’implementazione di azioni di contenimento della produzione (a marzo i paesi OPEC più la Russia hanno fallito nel trovare un accordo, raggiunto solo ad aprile inoltrato) hanno comportato un eccesso di offerta, solo parzialmente riassorbito nell’ultima parte dell’anno.

 

I prodotti della lavorazione del metallo

Al netto della voce riguardante prodotti petroliferi raffinati, nel 2020 le esportazioni sarde sono diminuite ad un tasso nettamente inferiore rispetto alla media nazionale, -4,7% contro il -8,9%.

Analizzando il dettaglio delle restanti voci che compongono le esportazioni sarde, la dinamica generale, come detto più positiva che altrove, risulta influenzata da una singola classe di prodotti, ovvero, i prodotti della lavorazione del metallo (che esclude macchine e impianti).

Questo settore, durante tutto l’anno pandemico, è stato capace di incrementare le vendite di oltre il 21%, arrivando ad esportare prodotti per un valore di quasi 280 milioni di euro (contro i 230 milioni del 2019). Di questi, ben 276 milioni (il 99%) fanno riferimento alla voce altri prodotti in metallo. L’industria degli altri prodotti in metallo, che oggi, escluso il petrolifero, rappresenta in assoluto il primo settore per valore delle esportazioni (ben 110 milioni in più dell’agroalimentare), rappresentava nel 2017 e nel 2018 appena il 26% del valore delle esportazioni di tutti i prodotti in metallo made in Sardegna, salvo poi schizzare all’82% nel 2019 e portarsi come detto al 99% nel 2020. La ragione di questo exploit è probabilmente dovuta al fatto che una o più grandi imprese manifatturiere operanti in regione, almeno dal 2019, abbiano iniziato ad esportare con una codifica generica: altri prodotti in metallo. Ciò non toglie che l’industria sarda della metallurgia e della lavorazione dei metalli sta mostrando una sorprendente vivacità in una fase congiunturale molto complicata. Resta da vedere se il trend di crescita verrà confermato anche nel 2021.

Il comparto agroalimentare

Per quanto riguarda il settore agroalimentare, una delle componenti strategiche per l’export regionale, tra febbraio e agosto 2020 le esportazioni sarde sono progressivamente calate, seppure ad un ritmo inferiore rispetto ad altri prodotti, a testimoniare, in quella fase, di una maggiore resilienza della domanda internazionale di beni alimentari. I mesi autunnali hanno poi visto una ripresa decisa della domanda estera, specialmente di prodotti lattiero caseari.

Alla fine dell’anno, le esportazioni agroalimentari sono diminuite soltanto di 7,6 milioni di euro, un calo di circa il -4,4% rispetto al 2019.

Nel complesso, le vendite complessive di pecorino e dolce sardo, considerando anche lotti prodotti al di fuori dell’isola, sono diminuite di appena il -1,5%, mostrando un incoraggiante trend positivo, avviatosi a settembre e rafforzatosi nei mesi successivi, tanto che l’ultimo trimestre si è chiuso con una crescita delle esportazioni del +22,5% (rispetto al 2019). Queste dinamiche si sono realizzate in un contesto di prezzi all’export sostanzialmente stabili, e intorno agli 8,6 euro al kg. L’incremento della domanda registrato nell’ultimo trimestre si è concentrato negli Stati Uniti (+33% il valore dell’export negli USA di prodotti agroalimentari sardi tra ottobre e dicembre).

 

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