A due mesi dal Decreto (DGER n. 183 del 21 dicembre 2018) con il quale il Ministero dei Beni e Attività Culturali pubblicava l’elenco dei soggetti a cui è stata riconosciuta la Qualifica di Restauratore di Beni Culturali, si è scatenata un violento attacco volto a delegittimarlo.

Sulle pagine de “Il Giornale dell’Arte” alcuni esponenti di una piccola associazione adombrano irregolarità nella procedura di selezione pubblica che, bandita nel 2009 dopo quasi un decennio di attesa, è ormai in fase di completamento. Le affermazioni sono generiche ed ipotetiche senza alcun elemento oggettivo e in sostanza si fondano soltanto sul numero degli iscritti all’elenco che viene definito eccessivo e tale da “inflazionare” il mercato con effetti devastanti tali da “dequalificare” l’intera categoria.

In realtà traspare fin troppo evidente il vero intento di autoproclamarsi i soli depositari delle competenze del restauro (in quanto diplomati di quelle scuole che solo di recente sono state definite di “Alta Formazione”) riservando agli altri restauratori espressioni di spregio.

L’Elenco dei Restauratori è frutto di un lavoro di decenni che ha faticosamente permesso di superare punti di vista arroganti e miopi come questo nella consapevolezza che fosse indispensabile una regolamentazione della professione in grado di ricondurre dentro una stessa cornice normativa percorsi professionali e training diversi. Nella convinzione che questo fosse un bisogno e rappresentasse un bene per “tutti” i restauratori.

Del resto è noto a chiunque si occupi con minima onestà intellettuale di restauro, che le scuole ministeriali non coprano il fabbisogno già dagli anni ’80 e almeno fino al 2009, quando si mette finalmente mano a una architettura diffusa e normalizzata della formazione al restauro.

Chi si perde poi  nel rimpianto per il tentativo fallito del ’94, ministro Alberto Ronchey, di istituire un Albo dei restauratori, farebbe bene a riflettere sul ruolo che i settarismi hanno avuto in quello e in successivi fallimenti.

Ci vollero altri 6 anni e lo sforzo unitario di CNA e altre associazioni per porre le basi di una soluzione condivisa. Altri 18 per vederla realizzata.

Inoltre, ci sorprende il pressapochismo di chi scrive su una rivista importante quale il Giornale dell’Arte perché parlare di “sanatoria” significa non sapere di cosa si sta parlando. I Restauratori hanno partecipato ad un bando di selezione.

Coloro che contestano potevano esprimersi in passato favorevolmente a trovare una soluzione senza ergere muri, sicuramente oggi la situazione sarebbe diversa.

Per CNA l’elenco dei restauratori qualificati è un punto di partenza irrinunciabile, non il punto di arrivo. Invitiamo tutti a guardare avanti per non rischiare di tornare all”età della pietra”.