Malgrado la crisi abbia ridimensionato fortemente l’artigianato ibleo, il settore rimane ancora uno dei comparti economici più significativi e dinamici della provincia di Ragusa. È  quanto emerge dalla quarta pubblicazione del Centro studi della CNA territoriale di Ragusa che tratta in modo specifico le performance dell’artigianato ibleo nel 2018. Al 31 dicembre dello scorso anno, alla Camera di commercio risultavano registrate 6.190 aziende artigiane su un totale di 36.823 imprese: in poche parole, quasi il 17% delle attività operanti nella provincia di Ragusa viene esercitata in forma artigianale. L’80% di queste attività è svolta in forma individuale, il 15% come società di persone e il 5% come società di capitali.

Anche il 2018, però, per l’artigianato ibleo non è stato brillante, tanto che si è verificata una ulteriore flessione del numero delle imprese artigiane registrate nell’apposito Albo tenuto presso la Camera di commercio. Il calo è stato meno rilevante rispetto agli ultimi anni. Analizzando i dati di Movimpresa, emerge innanzitutto una differenza tra le attività artigiane registrate nel 2008 e quelle del 2018 pari a 832 aziende in meno, cioè un calo di quasi il 12%. Ma il dato più evidente è la cessazione, nel corso del decennio, di ben 4.084 attività artigianali, pari a circa il 40% dell’intero stock di imprese. Tutto ciò è avvenuto nel silenzio più totale. “In questi anni si è parlato parecchio della chiusura in Sicilia – sottolinea il presidente della CNA territoriale di Ragusa, Giuseppe Santocono – di importanti aziende di media dimensione e della giusta preoccupazione per la tenuta del tessuto socio-economico oltre che per il futuro dei dipendenti. A nostra memoria, però, non ricordiamo, oltre alla voce proveniente dalla CNA, interventi preoccupati e prese di posizione per ciò che è successo nell’artigianato. Considerando la differenza delle imprese registrate nel 2008 e nel 2018 e facendo una media di due addetti ad impresa, si può affermare che si sono persi non meno di 1.500 posti di lavoro. Certo, è probabile che alcuni titolari di queste attività abbiano avviato nuove imprese oppure siano stati assunti da altre ditte o, peggio, siano emigrati. Ma il numero è significativamente indicativo e descrive con chiarezza la portata della crisi economica verificatasi nel nostro territorio”.

“Come Centro studi – aggiunge il responsabile Giorgio Stracquadanio – abbiamo anche analizzato l’andamento delle iscrizioni e delle cancellazioni nel corso del solo anno 2018. Infatti, da gennaio a dicembre del 2018 sono state registrate 336 iscrizioni all’Albo artigiani mentre nello stesso periodo si sono avute 417 cancellazioni. La differenza tra i due dati è negativa ma va fatta una precisazione: il 2018 si è chiuso con una giacenza di pratiche di iscrizioni inevase superiore rispetto all’anno precedente, quando erano una quarantina. In realtà, a fine 2018 erano circa cento le domande di iscrizione ancora non accolte per motivi diversi, comunque non dipendenti dalla Camera di commercio. Quindi, alle 6.190 imprese artigiane registrate nel 2018 andrebbero aggiunte queste 100 richieste di iscrizione che non sono state ancora caricate e che sulla carta ancora non risultano. A denti stretti, si può affermare come vi sia, forse, un leggero cambio di rotta”.

Sempre per lo stesso periodo, sono stati analizzati i dati relativi ai settori più rappresentativi dell’artigianato ragusano. In particolare sono stati osservati il comparto delle costruzioni, il settore dell’autoriparazione, quello della logistica e del trasporto merci e persone, il comparto degli altri servizi e il manifatturiero alimentare. Intanto, va sottolineato come questi cinque comparti rappresentino da soli oltre il 70% del corpo delle attività artigianali ragusane. Nell’arco del decennio, all’interno di questi settori si è verificato un saldo negativo pari a 574 imprese. L’unico comparto che all’interno del periodo ha presentato e presenta uno sviluppo interessante è quello del manifatturiero alimentare. In particolare, gli ambiti relativi alla lavorazione e conservazione di carni, pesce, frutta, ortofrutta e prodotti lattiero caseari (+48 imprese attive rispetto a dieci anni prima). Il comparto degli “Altri servizi”, in cui rientrano le attività di acconciatura, estetica, tatuaggi e piercing, centri benessere e cura degli animali, etc., nel corso del decennio ha presentato invece un comportamento fluttuante e ultimamente ha mostrato piccoli e timidi segnali di ripresa. Al contrario, i comparti delle costruzioni e i settori dell’autoriparazione e dei trasporti, nel corso del decennio studiato, sono stati quelli maggiormente colpiti dalla crisi con un saldo di 613 attività cessate (470 + 73 + 70), cioè il 98,5% delle categorie costruzioni, autoriparazione, trasporti e altri servizi.

“Si può affermare, dall’esame dei dati – aggiunge il presidente Santocono – come la crisi non sia ancora alle spalle e in ogni caso va detto con forza che questa crisi non ha messo in difficoltà la vocazione artigiana della provincia: in crisi è la qualità delle attività artigianali. Prima della crisi, l’artigianato era anche una valvola di sfogo utilizzata per mascherare rapporti di lavoro atipici. È  evidente che nel momento in cui le difficoltà economiche hanno avviato il calo delle commesse, oltre a scattare i licenziamenti sono saltate anche le attività tipiche”. Il segretario della CNA territoriale di Ragusa Giovanni Brancati aggiunge: “La nostra provincia è un giacimento culturale (barocco, neoclassico e liberty), ambientale ed enogastronomico di primo livello. I dati, soprattutto quelli del settore agroalimentare, ci dicono innanzitutto che questo è uno dei settori su cui puntare. Servono poi artigiani edili esperti e capaci nella riqualificazione del territorio. Servono imprese che sappiano valorizzare le nostre produzioni agricole. Per mettere in moto tutto ciò, serve mescolare con capacità il sapere tecnico-scientifico con i gesti della tradizione, coniugare le abilità del passato con i nuovi mezzi tecnologici. I giovani pensano al lavoro artigiano come a un percorso senza prospettive mentre il settore viene percepito come un luogo con poca innovazione e incapace a promuovere il territorio”. “Al contrario – conclude Stracquadanio – il nuovo artigianato deve diventare un settore in grado di fornire prodotti e servizi di alta qualità, con un alto grado di personalizzazione e soprattutto legato il più possibile al territorio. I dati del settore agroalimentare ci dicono come sia questa la direzione da intraprendere e va estesa anche alle attività classiche del settore. È su questo che bisogna puntare per rilanciare la vocazione artigiana di questa terra”.

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