Il ricamo “etico e tracciabile”. Perché anche i tessuti, come i cibi contraffatti, creano danni alla salute
“Sono cresciuto aprendo i cassettini della macchina da cucire di mia madre sarta e oggi a 56 anni continuo a giocare con fili, rocchetti e colori”. Un gioco serissimo quello di Luigi Rossi, socio e responsabile marketing di Lineaerre, storica impresa bolognese di ricamo industriale, perché “il vero Made in Italy – dice – è anche una scelta etica e di trasparenza”.
Nato e cresciuto in Abruzzo, Rossi sbarca in Emilia per il lavoro del padre ed è lì che conosce quella che diventerà un giorno sua suocera Rossana. “Dal 1961 aveva un laboratorio di maglieria, poi esteso alle confezioni – racconta Rossi – ma aveva anche un problema: ricamare centinaia di migliaia di capi. Io dal canto mio avevo appena terminato gli studi di elettrotecnica e lavoravo per un’azienda di macchine per gelato. Il passaggio alle macchine da ricamo è avvenuto dopo corsi, sperimentazioni e studio”.
Nel 1982 nasce così Lineaerre, in società con i suoceri e la moglie Sandra. “Oggi siamo alla terza generazione – continua Rossi – con l’ingresso di mia figlia Francesca”. Nel mezzo le commesse per grandi case di moda e la continua innovazione. “Un uomo studia finché vive, un’azienda vive finché studia – ama ripetere Rossi -. L’innovazione per noi significa mettere ogni volta in discussione l’impresa, ripensare le macchine, adattarsi alla moda che cambia, essendo in grado di fornire soluzioni e non creare problemi ai clienti”.
Innovazione tecnologica, con l’introduzione di stampanti digitali, ma anche fedeltà a valori “tradizionali”, come il rispetto tutto artigianale della qualità dei materiali e quindi anche della salute del consumatore finale. “Siamo stati i primi in Europa a chiedere una certificazione all’azienda che ci fornisce le stampanti digitali – spiega Rossi – perché vogliamo che i nostri inchiostri, i filati e i materiali di supporto siano sicuri e privi di sostanze nocive per la salute. Inoltre, abbiamo scelto di aderire al sistema di tracciabilità volontario ‘TF – Traceability & Fashion’, per fornire un’ informazione trasparente sull’origine delle lavorazioni e sui materiali d’uso, garantendo una produzione al 100% italiana”.
“Non si può definire Made in Italy una produzione realizzata all’estero e finalizzata in Italia, in certi casi siamo ai limiti della truffa – accusa Rossi – anche perché nel tessile questo significa utilizzare materiali spesso contenenti sostanze nocive, come piombo o coloranti azoici. Tutti prestano attenzione a quello che mangiano, ma non pensano che stare a contatto per molte ore con tessuti come lenzuola, vestiti per bambini, ecc., contenenti sostanze nocive, può provocare gravi danni alla pelle e non solo”.
La nuova frontiera del Made in Italy, suggerisce Rossi, sta proprio qui, nel garantire una qualità dei materiali e dei processi produttivi di cui star certi. E andar fieri.