A quasi due anni dall’approvazione del Codice Appalti ed uno dal decreto “correttivo” c’è già chi chiede la riscrittura completa del D. Lgs 50/2016.  

Tra le varie motivazioni addotte, diverse delle quali condivisibili come la mancata qualificazione delle stazioni appaltanti e delle SOA, ultima, ma non ultima, c’è naturalmente la “necessità” (ma per chi?) di abolire il limite del 30% sul subappalto per le categorie diverse da quella prevalente (art. 105 del decreto), norma sulla quale è stato presentato un ricorso all’Unione Europea ed il TAR della Lombardia ha incredibilmente dichiarato la propria impossibilità ad intervenire demandando ogni decisione, guarda caso, proprio a quella Corte di Giustizia Europea che aveva chiesto al Governo italiano (decisione C-406/14) la modifica della norma. Un po’ come mettere la volpe a guardia del pollaio.

Poco o nulla, evidentemente, sembra valere per qualcuno il parere del Consiglio di Stato del 22 marzo 2017 che ritiene quel pronunciamento superato in quanto, si legge testualmente nel parere,  quella decisione “si è formata in relazione alla previgente Direttiva 2004/18” mentre “la nuova Direttiva 2014/24 consente gli Stati membri di dettare una più restrittiva disciplina del subappalto”.

In quel parere il Consiglio si interrogava innanzitutto sull’opportunità o meno di una modifica che avrebbe comportato una vera e propria inversione di rotta rispetto all’originaria scelta del codice, ricordando che in un parere già reso in precedenza (parere n. 855/2016) era stato osservato che il legislatore avrebbe  comunque potuto porre “limiti di maggior rigore rispetto alle direttive europee, che non costituirebbero un ingiustificato goldplating, ma sarebbero giustificati da pregnanti ragioni di ordine pubblico, di tutela della trasparenza e del mercato del lavoro”.

Ed in effetti la Direttiva Europea permette chiaramente alle stazioni appaltanti di imporre alle imprese appaltatrici precisi e stringenti requisiti in relazione alle loro effettive capacità di realizzare il lavoro oggetto dell’appalto in termini di risorse umane, tecniche ed esperienza professionale. Il fatto poi che la nuova Direttiva si ponga il legittimo obiettivo di tutelare le micro, piccole e medie imprese, secondo il Consiglio di Stato “può indurre alla ragionevole interpretazione che le limitazioni quantitative al subappalto, previste dal legislatore nazionale, non sono in frontale contrasto con il diritto europeo”.

“E’ del tutto evidente – afferma Guido Pesaro, Responsabile Nazionale CNA Installazione  Impianti –  che le richieste di  modificare l’art. 105 del Codice Appalti sono infondate, se non decisamente pretestuose, e che la norma è assolutamente in linea con quanto previsto dall’ordinamento europeo. Non si comprendono pertanto le ragioni che hanno indotto il TAR Lombardia a nascondere la testa sotto la sabbia ignorando il parere del Consiglio di Stato e rimettendo il parere a Bruxelles. La legittimità, anche in termini di diritto comunitario, della normativa italiana sul subappalto – prosegue Pesaro – è chiara ed acclamata e deve essere difesa da chi l’ha emanata”.  

Alle forze politiche che si candidano a governare il paese CNA Installazione Impianti chiede un impegno chiaro e preciso a garanzia della capacità professionale di decine di migliaia di piccole imprese impiantistiche che, in questi anni di crisi del settore delle costruzioni,  hanno continuato a produrre ricchezza ed a mantenere l’occupazione