La Commissione europea ha appena inviato una lettera all’Italia, nella quale bacchetta il nostro paese per una norma del Codice, introdotta dal correttivo appalti (articolo 113 bis) che apre una finestra di 45 giorni tra la certificazione dell’avanzamento lavori (Sal) e il certificato di pagamento delle fatture emesse dalle imprese esecutrici dei lavori. Si tratta di un allungamento dei tempi di pagamento, in evidente contrasto con le norme comunitarie in materia di pagamenti della pubblica amministrazione.

Con l’articolo 113 bis viene prevista, di fatto, una fase di stand by prima dell’emissione del certificato di pagamento.

Adesso l’Italia ha due mesi di tempo per rispondere ai rilievi dell’Europa.

La norma nel mirino prevede, al comma 1, che «il termine per l’emissione dei certificati di pagamento relativi agli acconti del corrispettivo di appalto non può superare i quarantacinque giorni decorrenti dall’adozione di ogni stato di avanzamento dei lavori».

Quindi, dopo lo stato di avanzamento lavori, la PA ha un periodo che può arrivare fino a un mese e mezzo nel quale legittimamente può aspettare prima dell’emissione del certificato di pagamento. Per questo motivo, la Commissione ha inviato al nostro Governo una lettera di messa in mora che, di fatto, apre l’iter formale della procedura di infrazione.

I rilievi arrivano direttamente dagli uffici del commissario europeo al mercato Interno, Elzbieta Bienkowska.  La preoccupazione della Commissione è che la norma estenda sistematicamente a 45 giorni il termine per il pagamento delle fatture nei lavori pubblici. E la cosa non appare inverosimile, considerando la consuetudine della PA italiano su questa materia. Questo periodo di attesa blocca la procedura soprattutto ai danni  delle MPMI, in maniera contraria ai principi della direttiva 2011/7/Ue, in materia di pagamenti, dove – al contrario – viene stabilito un termine ordinario di 30 giorni, che può essere allungato fino a 60 giorni, ma solo in casi eccezionali.

L’iniziativa avviata dalla UE prevede un periodo di due mesi entro i quali  l’Italia deve rispondere ai rilievi della Commissione.