L’obiettivo di questo lavoro coincide con il tentativo di pervenire ad una definizione di “impresa digitale” che consenta di stimare la consistenza, la dinamica e le performances economiche recenti di un aggregato produttivo tanto ampio quanto disomogeneo e in continua evoluzione.
Con quest’operazione si intende inoltre contribuire alla relativizzazione di un’idea di impresa digitale che si è affermata nel tempo nel dibattito pubblico e che ruota unicamente intorno alle grandi imprese del web, dimenticando totalmente le decine di migliaia di micro e piccole imprese che operano nel settore.
Si tratta di imprese, come si cercherà di dimostrare, che nel loro insieme contribuiscono a generare reddito e occupazione nel nostro Paese, anche al di là di siano in grado di fare i ben noti “giganti del web”, “aziende piattaforma”, “digital providers” o comunque si voglia definire le multinazionali che operano nel settore.
Queste imprese piccole imprese digitali, proprio perché prive di una precisa caratterizzazione e di un’immagine pubblica (non dispongono di marchi riconoscibili, non sono in grado di investire in comunicazione, non sono prese in considerazione dai media generalisti), stentano a penetrare nell’immaginario collettivo. In altre parole, non hanno un’identità precisa, o se vogliamo, non hanno un “volto”. La situazione si presenta in parte diversa per quanto concerne le cosiddette “start up innovative”, oggetto di riconoscimento e di sostegno pubblico. Si tratta però, a ben guardare, di un piccolo segmento, che peraltro mostra ultimamente notevoli difficoltà di crescita dimensionale.
Questo deficit identitario comporta alcune conseguenze pericolose:
A ciò occorre aggiungere che una difficoltà di riconoscimento (e di “auto-riconoscimento”) finisce per penalizzare la creazione di reti, community, distretti, ecc. Ossia quelle occasioni attraverso le quali queste imprese possono attrezzarsi per presidiare i tanti e cangianti ambiti del business digitale.
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