SE IL SUD NON TIENE, NON TIENE IL PAESE

In materia di previsioni e di scenari socio-economici esistono poche certezze. L’unico ambito su cui le tendenze in atto consentono seriamente di prefigurare il futuro è quello demografico.

Oggi sappiamo che da qui a trent’anni la popolazione italiana diminuirà di 5 milioni di abitanti (addirittura 11,5 milioni su un orizzonte di 50 anni). Quello che invece non è stato ancora sufficientemente chiarito e “metabolizzato” riguarda il fatto che questo fenomeno sarà per gran parte attribuibile al Mezzogiorno con un’erosione di 3,4 milioni di abitanti al 2050 e di 6,4 milioni al 2070).

Sappiamo, inoltre, che verrà colpita soprattutto la fascia d’età compresa tra 15 e 64 anni, con una conseguente perdita di capacità di lavoro e di generazione di ricchezza. Vale per tutto il Paese, ma mina alla radice quello che era uno dei pochi punti di forza del Mezzogiorno, ossia una popolazione residente mediamente più giovane.

Come è noto le cause di tutto ciò sono tante, ma è evidente che al crollo dei tassi di natalità e al conseguente invecchiamento della popolazione, si aggiunge nel Mezzogiorno l’effetto perverso della fuga dei giovani verso le città del nord (o verso l’estero), e la difficoltà o addirittura l’impossibilità di risultare stabilmente attrattivo per la popolazione immigrata dall’estero.

In siffatto contesto la questione dei divari assume un significato nuovo e l’impegno ad affrontarla seriamente non può essere ricondotto né alle storiche riflessioni sui limiti di uno sviluppo asimmetrico, né alle considerazioni sull’iniquità di un destino sociale legato al luogo di nascita. Oggi, con la transizione demografica, lo sviluppo del Mezzogiorno diventa questione decisiva e irrinunciabile per il futuro del Paese nel suo complesso.

Bisogna infatti considerare che il Mezzogiorno è di gran lunga la prima macro-circoscrizione geografica sia per estensione (41,0% del totale) che per popolazione residente (33,8%). Nel Mezzogiorno – per quanto piccole e afflitte da tanti problemi – operano attualmente il 34,5% delle imprese italiane.

Con più di un quarto dei lavoratori italiani il Mezzogiorno si colloca poco al di sotto del Nord-Ovest. Il Pil prodotto nel Mezzogiorno è superiore a quello del Centro e di poco inferiore a quello del Nord-Est. Primeggia di gran lunga per quanto concerne il valore aggiunto dell’agricoltura (quasi la metà del totale nazionale) e si colloca al 2° posto per quanto concerne i servizi.

L’unico aggregato macro-economico che evidenzia una drammatica subalternità è quello relativo alle esportazioni (solo il 10% del totale nazionale). Sono dati di bassa sofisticazione, che certamente dovrebbero essere analizzati uno per uno in modo approfondito per cogliere a pieno la loro reale portata e il loro “senso fenomenologico”. Però si prestano molto bene ad evidenziare sinteticamente e plasticamente l’importanza cruciale del Mezzogiorno per il sistema-Italia.

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