È noto che l’investimento infrastrutturale, per gli stimoli fiscali che produce, oltre a rivitalizzare l’occupazione e la domanda interna, contribuisce nel lungo termine ad innalzare la competitività del sistema economico, migliorando l’efficienza del sistema produttivo e ampliando i mercati di acquisizione e di sbocco delle produzioni.

La condizione di Insularità rende ancora più centrale per la Sardegna il ruolo svolto dalle infrastrutture e dai trasporti in particolare, per posizionare sul sentiero dello sviluppo il processo di modernizzazione della società sarda.

Sono le premesse che fanno da preambolo alla Ricerca realizzata da CNA Sardegna, dal titolo “Infrastrutture e Territorio, studio sulla dotazione infrastrutturale della Sardegna”, presentata a Cagliari, che offre un’analisi compiuta su: la dotazione fisica, gli investimenti, la composizione della spesa pubblica, i costi dell’infrastrutturazione, il trasporto pubblico locale, le opere incompiute.

Valore delle infrastrutture regionali

Una stima condotta tenendo conto di tutti gli investimenti in infrastrutture a partire dagli anni sessanta, che tiene conto del tasso di deprezzamento delle opere più vecchie indica che il patrimonio di OO.PP. regionale vale circa 42 miliardi di euro, l’11mo posto in Italia. Dagli anni 80 il valore dello stock in Sardegna si è incrementato del 65%. Significa che più del 40% della dotazione è costruita negli ultimi 30 anni.

Dalla ricerca emerge come la Sardegna presenti, anche rispetto alle altre regioni del Mezzogiorno, un forte deficit infrastrutturale, sia per quanto attiene le infrastrutture economiche (Genio Civile), sia per quelle sociali (capitale umano). Fatta 100 la dotazione media italiana, la Sardegna si attesta ad un valore pari a circa la metà, il 52,9%.

L’elemento più critico si concentra sulle reti di trasporto (strade e ferrovie); migliore la situazione  per quanto attiene a  porti e aeroporti. Critica anche la situazione delle reti energetiche e delle reti idriche, così come la dotazione legata al capitale umano, per il quale la Sardegna mostra un preoccupante ritardo, in particolare in ambito sanitario e scolastico.

Nella media degli anni 2000, solo il 5,7% della spesa pubblica per infrastrutture è stato destinato al Capitale Umano – Istruzione, Formazione e Ricerca – contro una media dell’8,5% del Mezzogiorno e dell’8,15 per il totale nazionale.

Il Gap infrastrutturale è solo una questione di spesa?

La ricerca presta particolare attenzione alla spesa pubblica che negli ultimi 15 anni è stata destinata alle infrastrutture dalla nostra Regione.

Escludendo le manutenzioni ordinarie, gli investimenti in opere pubbliche ammontano complessivamente a circa 33 miliardi €. Ogni anno in Sardegna sono stati spesi, in media, 2 miliardi €, con un picco nel 2004 (2,9 miliardi) e un valore minimo registrato nel 2014: 1,3 miliardi. 

In particolare, la media negli ultimi 15 anni della quota regionale è stata circa il 4,5% del totale nazionale degli investimenti in infrastrutture. Non è poco, considerando che il Pil regionale incide in media per il 2,2% sul totale e la popolazione sarda per il 2,8%.

Utilizzando una stima del valore economico di tutte le opere pubbliche che insistono sul territorio regionale (il cosiddetto stock di capitale fisso pubblico) e gli indici di dotazione Tagliacarne (indice di dotazione fisica e di funzionamento delle infrastrutture), posto il dato medio italiano pari a 100, la Sardegna mostra un indice di costo pari a 209, inferiore solo a quanto misurato per la Basilicata (344) e Trentino Alto Adige (234).

In Sardegna, il processo di infrastrutturazione risulta particolarmente oneroso. I fattori in grado di incidere sui costi: costi diretti, materiali e manodopera, elementi legati al territorio, alle tipologie delle opere realizzate, alle criticità nel funzionamento delle opere, le inefficienze nel sistema di gestione della spesa pubblica.

Secondo i risultati del Rapporto UVER 2014, rielaborati da CNA Sardegna/Cresme, frutto di un monitoraggio di 1700 opere pubbliche realizzate in Sardegna negli anni 2000 e finanziate mediante i Fondi Strutturali europei e dalla politica di Coesione nazionale (FSC e FAS), in media, considerando tutte le fasi di realizzazione – dalla progettazione preliminare all’esecuzione dei lavori – in Sardegna si impiegano circa 5,1 anni per completare un’infrastruttura, meno soltanto di quanto stimato in Sicilia, Basilicata, Trentino e Veneto.

Un’indagine compiuta della CNA su un campione di 200 opere pubbliche aggiudicate tra il 2000 e il 2015, che rappresentano il 35% del valore  di tutte le opere aggiudicate in Regione, ha stimato in 4,2 anni il tempo medio per la realizzazione di un opera pubblica, partendo dalla fase di affidamento, passando per la fase di avvio dei lavori e terminando con l’esecuzione vera e propria. La ricerca  indica in circa 1,2 anni il ritardo medio nell’esecuzione dei lavori rispetto ai tempi previsti, con un massimo di 1,4 anni per gli appalti di sola esecuzione che non includono la progettazione esecutiva.

L’indagine CNA attesta inoltre che ben l’11% dei contratti appaltati sono stati rescissi o sospesi.

Le opere incompiute

L’Anagrafe delle opere incompiute, ovvero le opere che con lavori avviati ma non fruibili dalla collettività per carenza di fondi, fallimento, risoluzione del contratto, venir meno dell’interesse a completamento dell’opera da parte della Stazione Appaltante, attesta che per il 2014 a livello nazionale sono state individuate 868 opere incompiute.

La Sardegna si posiziona al 4° posto con 67 opere pubbliche non portate a compimento, per un valore di 173 milioni €.

Un patrimonio in deterioramento

Negli ultimi 10 anni il patrimonio pubblico regionale è invecchiato più di quanto sia riuscito a rinnovarsi.

La ragione risiede nell’impatto della recessione e delle politiche di Austerity e, soprattutto, nella sempre minore capacità di spesa degli Enti Locali (province e comuni) che nel 2006 erogavano oltre il 60% della spesa complessiva per infrastrutture.

Una quota che si è progressivamente ridotta con un impatto evidente sul mercato delle opere pubbliche regionale. Basti dire che nel 2013 le amministrazioni locali hanno investito in infrastrutture solo 500 milioni di euro, contro oltre il miliardo speso nel 2005-2006 (a valori costanti 2014).

L’analisi politica

I dati che emergono dallo studio sullo stato delle infrastrutture e della spesa pubblica a questo destinata nell’ultimo quindicennio – dichiarano Pierpaolo Piras e Francesco Porcu, rispettivamente presidente e segretario regionale CNA – pur in linea con la media nazionale, certificano che in assenza di elementi di riequilibrio sostanziale i divari non solo restano inalterati, ma tendono a crescere.

La Sardegna non può permettersi che ai ritardi infrastrutturali si sommi il disimpegno dello Stato su partite essenziali quali l’Energia, il Metano, i progetti di investimento della Chimica Verde, che tornano a rischio.

Ma soprattutto occorre – continuano i vertici CNA –  come dimostrano le vicende della Continuità aerea di queste ultime settimane, portare al Tavolo con l’Europa, debitamente istruita, la madre di tutte le questioni:  il riconoscimento del principio di Insularità, che significa definire e regolare modalità, forma e natura dei possibili interventi a correzione di un handicap che non consente a noi sardi l’applicazione di un principio costituzionale: la mobilità delle persone e delle merci alle medesime condizione degli altri sistemi territoriali del nostro paese.

In materia di infrastrutture, la Regione deve ottenere dal Governo che nel “Documento Pluriennale di Pianificazione” che conterrà la lista delle opere strategiche da realizzarsi nei prossimi anni – in discussione in questi giorni – vengano finanziati gli investimenti già previsti che rischiano di restare senza copertura finanziaria: completamento SS 131, adeguamento del tratto Nuoro-Olbia-S. Teresa Gallura.

Ma per le grandi infrastrutture di servizio, pensiamo a porti e aeroporti, che per la Sardegna sono un punto di forza, non basta realizzarli o disporne, occorre connetterle in uno sforzo logistico che spinga alle specializzazioni di ruolo necessarie per esaltarne la funzionalità e i servizi erogati. La Regione si doti di un piano di specializzazione dei porti e di integrazione degli stessi scali aeroportuali che non possono continuare ad operare ignorandosi o facendosi una concorrenza distruttiva.

Sul fronte delle politiche infrastrutturali, continuano i vertici CNA, ci auguriamo che il progetto di riordino del sistema delle autonomie locali, che modificherà l’architettura complessiva del nostro sistema amministrativo, anche attraverso processi aggregativi tra i comuni, consenta, come sosteniamo da tempo, l’istituzione in materia di opere e di appalti pubblici di una cabina di regia unica necessaria per superare le inefficienze e le criticità note e che la ricerca evidenzia con chiarezza: inefficienza nella gestione e nell’organizzazione del processo di spesa, scarsa qualità nella programmazione, l’assenza di valutazione dei costi e dei benefici dei progetti, la carenza nell’attività di monitoraggio per verificare lo stato di avanzamento degli interventi e di formulare valutazioni generali sull’efficienza di realizzazione delle opere.