La “bottega”, termine che dal Rinascimento ha accompagnato la capacità dell’Italia di mostrare la sua qualità più alta, non ha una connotazione positiva nell’era globale. Da un lato il “saper fare” è tornato ad essere il cuore del Made in Italy, dall’altro però esiste ancora in molti giovani un pregiudizio d’altri tempi nei confronti della manifattura. Al punto che offerte di lavoro anche ben retribuite nel settore artigiano vengono snobbate dalle nuove generazioni.

L’Italia del resto per molti decenni ha guardato ai lavori manuali come lavori di serie B, mentre  la trasmissione del sapere anche all’interno delle famiglie artigiane ha subito una frenata, di cui ancora oggi paghiamo le conseguenze.

Anche adesso che da circa un decennio la Toscana ha conquistato una leadership mondiale nel campo del Made in Italy, facendosi terreno naturale di insediamento e investimento di grandi marchi della moda, non soltanto questo problema rimane aperto, ma a questo si aggiunge una sorta di concorrenza interna al settore artigiano legato proprio al tema delle griffe – sottolinea il Presidente CNA Federmoda Toscana, Bruno Tommassini –  I marchi del lusso diventati globali hanno la forza, infatti, di “prendersi” i nuovi artigiani in cambio magari di stipendi comunque bassi, ma di un’immagine che fa sentire i nuovi addetti non solo parte di un processo produttivo, ma protagonisti di un successo immateriale che tutti riconoscono e identificano in un logo.

Eppure la realtà è opposta: il lavoro artigiano è l’elemento davvero unico che distingue il prodotto sui mercati. Un processo culturale che noi dobbiamo diffondere riguarda la percezione del “ruolo sociale” dell’artigiano, protagonista della creazione dei migliori prodotti del made in Italy. Non è un percorso facile: contiene in sé alcuni elementi positivi, come il boom del made in Italy e il suo indotto; altri, invece, avvolti ancora nel dubbio, come il ruolo che l’artigiano svolgerà nel mercato di domani.

I marchi internazionali, che per molti anni hanno affidato la produzione di borse e portafogli alle piccole e grandi pelletterie dei cosiddetti terzisti, hanno da qualche tempo cominciato a assumere al proprio interno le figure della produzione, affiancandole a quelle storiche dello stile. Per fare questo c’è stato sia uno scouting interno al comparto sia un vero e proprio shopping di aziende.

La domanda che sta al centro del nostro dibattito, dunque, è: chi sono queste figure e cosa sarà dell’artigianato come noi lo conosciamo? Se tuttavia è vero che l’appeal di un brand nell’assunzione di personale non si può neppure paragonare a quello di una piccola e media azienda, questo significa anche che è venuto il momento di chiedersi quali siano le forme (collaborazione o antagonismo) più adatte a portare questo fenomeno verso gli interessi del comparto artigiano e non solo delle grandi griffe.

Un discorso, questo, dalle mille sfaccettature che porta a definire la strada da percorrere per il futuro, tutti insieme, pena un errore che potrebbe costare carissimo al settore, forse pagare il prezzo più alto della sua storia recente.

Ora la questione è: dobbiamo limitarci a denunciare allarme e paura, o tentare di comprendere se esista un punto di incontro fra le due esigenze?

Senza l’artigianato i grandi marchi non vinceranno davvero la sfida globale contro i prodotti a basso costo. E, al tempo stesso, non possiamo fermare un processo globale, ma possiamo al contrario indirizzarlo verso un esito naturale e migliore.

Un possibile terreno comune di intervento potrebbe essere quello di recuperare o semplicemente costruire un rapporto con le scuole – conclude la Presidente CNA Federmoda Pisa Rossella Giannotti – Se osserviamo i dati che vengono pubblicati anche da ISTAT, non possiamo fare a meno di vedere che la dispersione scolastica fin dai 16/17 anni, ha una forte propensione all’aumento. Di contro, tra la popolazione scolastica laureata, la fuga dei cervelli all’estero è ugualmente in sensibile aumento. Sta a noi aziende (griffe e imprese artigiane) che ricopriamo un ruolo “sociale”, ri-creare le condizioni di fiducia affinché i cervelli tornino a vedere un futuro nel nostro Paese ed il ragazzo o ragazza di 16/17 anni, anziché abbandonare gli studi ed entrare a far parte di coloro che non studiano e non lavorano e peggio ancora non cercano lavoro, possano scoprire veramente che ci si può impegnare nell’acquisire la capacità del sapere fare un mestiere: un lavoro ed una professione importante proprio per la tutela del nostro Made in Italy.

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