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Videostoria. La transumanza del vino, dal Mediterraneo alla neve del Gran Sasso

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Quando si dice il magnetismo, quella forza di attrazione di un elemento, o di un luogo come questo. Bruno Carpitella e Lorena Lucidi, lui romano, lei abruzzese, di Montorio in provincia di Teramo, quel magnetismo hanno trovato il modo di catturarlo e trasformarlo in un’esperienza: quella del vino che, lasciato in letargo sotto la neve per un intero inverno, quando rivede la luce si arricchisce di aromi unici. Soci dell’azienda Pendeche, Vini d’Altura, da loro fondata e coppia nella vita, Bruno e Lorena nel 2019 partecipano al Premio Cambiamenti, il riconoscimento al pensiero innovativo delle nuove imprese italiane promosso da CNA, la cui finale, per l’edizione 2021, si terrà il 19 novembre a Roma.

“Pendeche”, dal nome delle antiche botteghe del centro storico, è la protagonista di CNA Storie di ottobre. Tutto nasce per gioco: quando Bruno, da ragazzo lasciava una bottiglia di vino sotto la neve e l’anno dopo tornava ad assaporarla.

Il processo di affinamento del vino sotto la neve

“Queste bottiglie durante l’inverno subiscono un processo che permette loro di trasformarsi in qualcos’altro” spiega Lorena. “La longevità è una delle caratteristiche che assume il vino affinato, così come i sentori tipici della montagna: il muschio, il calcare, addirittura l’acqua di sorgente”. È il territorio a conferire al vino queste caratteristiche: “il processo avviene solo in alcune zone specifiche di questa montagna qui” dice Lorena indicando il massiccio del Gran Sasso alle sue spalle. “I test sono stati fatti in varie montagne dell’Abruzzo e sulle Alpi. Ma i risultati non sono stati gli stessi”.

Le cantine mobili seppellite dalla neve

Con il supporto della CNA territoriale, Bruno e Lorena nel 2016 ottengono un finanziamento per acquistare delle cantine mobili. Al loro interno vengono depositate le bottiglie di vitigni selezionati, testate a una a una. Tutto deve avvenire a ridosso della grande nevicata dell’anno. Non prima, ma soprattutto mai dopo. “D’inverno la strada per arrivare qui resta chiusa al traffico fino alla primavera successiva – ricorda Lorena-. Metri e metri di neve la rendono inagibile. Un errore sul meteo, e l’intera annata rischia di andare a rotoli”.

La neve durante tutto l’inverno ricopre completamente le cantine mobili e questo garantisce una temperatura costante che permette al vino di continuare a trasformarsi. E a diventare il Vino d’Altura.

Non più solo vitigni autoctoni. Non più solo vino

L’emergenza Covid-19 impone un ripensamento sulle strategie e si affacciano nuovi progetti: non più solo vino. E non più solo vitigni autoctoni. È così che nasce l’affinamento dell’olio extravergine d’oliva sotto la neve. Ed è così che nasce il vino Transumante.

“Oltre a portare in affinamento vini abruzzesi, abbiamo allargato la nostra selezione ai rossi e ai bianchi dell’Etna, al Morellino di Scansano, al Negramaro, un Nebbiolo, Valdobbiadene e altri vini del nord”. Il risultato? “Prendiamo il caso dei siciliani: alla fine di questo processo di affinamento il vino ha due caratteristiche, quella di pianura del terreno vulcanico e quello calcareo, su cui è stato affinato”.

Il vino esce dalle cantine selezionate e vi rientra affinato come Vino d’Altura, in esposizione su stand dedicati. Sono appena 1600 le bottiglie destinate a una nicchia di mercato ristretta e esclusivamente italiana: “Lo straniero che vuole assaggiare il Vino d’Altura deve venire in Italia, in una delle cantine sparse dalla Sicilia al Piemonte”.

Con Bruno e Lorena, dalle colline teramane saliamo in quota, per raggiungere il Gran Sasso, luogo prescelto dopo un’attenta ricerca. Unico al mondo per le sue caratteristiche.

È così che la transumanza si compie, ogni anno, in queste bottiglie.

A cura di Paola Toscani

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