Sono state oltre 750 le imprese marchigiane dell’autotrasporto che hanno sottoscritto la petizione presentata dalla CNA Fita Marche al ministero dei trasporti per chiedere il ripristino delle deduzioni forfettarie per il settore. Un primo risultato, sostiene la CNA Fita, è già stato ottenuto. Il ministero dei Trasporti ha convocato le associazioni di categoria per una trattativa che dovrebbe concludersi nei prossimi giorni. Anche per scongiurare il fermo del settore, che in caso di un mancato accordo, sarebbe inevitabile e bloccherebbe l’Italia proprio durante le ferie d’agosto.

I tempi” spiega Riccardo Battisti segretario CNA Fita Marche “sono stretti perché il 20 agosto è il termine ultimo per la chiusura dei bilanci aziendali e prima di quella scadenza occorre conoscere con certezza l’importo delle deduzioni per le spese non documentabili. Da questa decisione dipende la sopravvivenza delle nostre imprese. Più di un quarto delle 4.161 imprese artigiane marchigiane dell’autotrasporto sarebbero costrette a chiudere senza agevolazioni, lasciando a casa oltre 2 mila dipendenti.”

Sul tavolo del ministero dei Trasporti la richiesta  DI ripristinare i 186 milioni di euro di deduzioni forfettarie alle imprese dell’autotrasporto per le spese non documentabili. Una cifra che per quest’anno è invece stata ridotta a 60 milioni di euro.

A pagare i costi più salati per la riduzione delle deduzioni sarebbero le 2 mila imprese monoveicolari, molte delle quali aderiscono ai 16 Consorzi marchigiani dell’autotrasporto, che associano 860 imprese con 1.500 veicoli e che, se non verranno ripristinati gli importi dello scorso anno, saranno costrette a cessare l’attività.

“Si tenga conto” sostiene Battisti “che le nostre imprese sono costrette a ricorrere alla riduzione delle imposte col meccanismo delle spese forfettarie per ridurre il differenziale con gli autotrasportatori stranieri che pagano costi inferiori per autostrade, gasolio, assicurazioni. Inoltre subiamo la concorrenza sleale e il dumping sociale da parte di aziende di altri Paesi, principalmente dell’est Europa, ma anche di società italiane che hanno da tempo delocalizzato sfruttando l’opportunità di un costo del lavoro decisamente più basso.”