Il conteggio degli ordinativi per le casette è stato completato al 100% solo in 10 comuni su 60 (tra cui Arcuata, Accumuli, Amatrice, Visso e da ultimo Cascia e Preci).

Nel mirino di Errani – che ha denunciato tale situazione – c’è la farraginosità della procedura per il “dimensionamento” del fabbisogno di casette. Una procedura che lascia largamente insoddisfatta la popolazione.
Il bilancio deludente è il prodotto di un iter che tocca vari soggetti e parte dalla verifica dell’immobile lesionato per arrivare fino all’ordinativo dei moduli abitativi temporanei, passando per la scelta delle aree, l’appalto delle opere di urbanizzazione e, infine, la posa in opera delle casette “chiavi in mano”. 
Tutto parte dal cittadino che ha subito danni, il quale attiva la procedura facendo al Comune la richiesta della “casetta”, e chiedendo a un tecnico qualificato il sopralluogo sull’immobile lesionato. Il tecnico effettua il sopralluogo e compila la scheda Aedes, indicando il livello di danno, in base al quale viene confermato o meno il diritto alla casetta. Solo con la scheda Aedes, il sindaco ha il numero “valido” ai fini della definizione del fabbisogno, cioè delle casette da dare agli aventi diritto (confermando, scheda Aedes alla mano, la domanda fatta dal cittadino danneggiato). A quel punto, sempre il sindaco, con un proprio atto individua le aree, eventualmente con esproprio, e trasmette il fabbisogno alla Regione. Le opere di urbanizzazione possono essere appaltate dalla Regione o dal Comune. La Regione, attraverso strutture operative tecniche (l’Irpi del Cnr, che esegue l’analisi del suolo) e il supporto della Protezione civile, verifica che l’area sia idonea all’insediamento. A questo punto, sempre la Regione, ordina le casette al fornitore. 
Questo, in sintesi, è il percorso per l’assegnazione delle “casette”.

Percorso che però ha trovato almeno due ostacoli supplementari. Primo ostacolo: dopo ogni nuova forte scossa è stato necessario ripetere i sopralluoghi che avevano dato esito di agibilità o di inagibilità non grave. Secondo ostacolo: la dispersione estrema dei comuni danneggiati e delle rispettive frazioni ha impedito una stima attendibile del fabbisogno (come invece è stato possibile fare all’Aquila nel 2009). A tutto questo va sommato il maltempo eccezionale di gennaio che ha ulteriormente ritardato l’accesso alle case. 
Sulle lentezze ha poi influito molto il tema dell’attenzione alla spesa, perché – va ricordato – i moduli abitativi costano: 1.300 euro a mq (al netto delle urbanizzazioni), cioè tra 52mila e 104mila euro l’uno, a seconda della dimensione (40, 60 oppure 80 mq). Il cuore del problema è il rischio di vedersi contestare il danno erariale se gli ordinativi risultassero sovradimensionati, un rischio molto concreto proprio per l’estrema dispersione e frammentazione dei territori colpiti. E proprio questo – in definitiva – l’ostacolo che ha impedito di abbattere il “tabù” della «definizione del fabbisogno», contro il quale si è scagliato il commissario Errani.