Dando uno sguardo ai provvedimenti che il MIT e l’ANAC dovevano produrre per dare piena attuazione al Codice degli appalti, quest’ultimo – ad oggi – appare di fatto “una riforma ancora incompiuta”: lo dicono i numeri dei provvedimenti attuativi del decreto n. 50 del 2016 (vedi allegati).

Per mettere in pratica la riforma servono ben 60 provvedimenti attuativi.  Finora – tra decreti del MIT e linee guida ANAC – ne sono stati approvati poco più di una decina. Non solo, alcuni di quelli già arrivati a un buon punto di definizione devono essere rivisti per essere adeguati alle oltre 450 modifiche apportate al nuovo codice dal cosiddetto Decreto Correttivo (DL n. 56/2017). Tra questi ultimi vi segnalo la Linea Guida ANAC n° 4 (procedure per l’affidamento dei contratti pubblici di importo inferiore alle soglie comunitarie) che è di estremo interesse per le nostre imprese e sulla quale vi ho chiesto recentemente di esprimere vostre valutazioni di merito da inviare all’ANAC in sede di consultazione pubblica del provvedimento.

In sintesi, la sensazione che si rischia di provare davanti a questo scenario è che – a poco più di un anno di distanza dal via – la riforma sia tornata ai blocchi di partenza. Infatti alcuni tra i pilastri della riforma, quali ad esempio la riduzione delle stazione appaltanti, la selezione dei commissari di gara esterni, il rating di impresa, sono ancora tutti da mettere in piedi.

In particolare, l’obiettivo di ridurre le stazioni appaltanti (32mila escluse le scuole, dicono le stime più accreditate) rischia di arenarsi sul più classico dei conflitti italiani: la volontà delle amministrazioni di mantenere la propria fetta di potere che prevale sulla necessità di semplificare il sistema. La bozza di decreto su cui hanno lavorato i tecnici delle Infrastrutture distribuisce in quattro fasce di importo l’elenco delle PA abilitate a bandire le gare, in base a parametri di organico e competenza. Uno schema che porterebbe a ridurre a circa seimila gli enti abilitati, anche se – inizialmente – si era fissato l’obiettivo a qualche centinaio di amministrazioni (pura utopia!!!). Anche 6mila sarebbe già un buon risultato di riduzione del numero di SA. Purtroppo, il testo è sparito dai radar ufficiali e, in base alle indiscrezioni, rimpalla da mesi tra Porta Pia e Palazzo Chigi (MIT e Presidenza del Consiglio).

Anche l’albo dei commissari di gara esterni alle amministrazioni (gestito dall’ANAC) è un tassello mancante della riforma “bloccata”. Nonostante l’importanza della novità, fondamentale per risolvere l’ambiguità tra dipendenti pubblici ed talune imprese che inquinano le gare, finora non si è approdato a nulla di concreto. Da quel che ci risulta, l’innovazione dell’albo dei commissari esterni si scontra con l’opposizione delle grandi stazioni appaltanti e dei Comuni, ufficialmente motivata con il rischio di aumento dei tempi e dei costi di gestione delle gare. Di fatto – però – Il decreto MIT, che dovrebbe semplicemente fissare le tariffe di iscrizione all’albo e i compensi per i commissari, resta fermo al palo. Senza la pubblicazione del Decreto del MIT, l’ANAC non può emanare il regolamento che attiva materialmente il nuovo albo. Dunque, per ora tutto rimane com’è, e ciascun ente pubblico continua a scegliersi i commissari di gara in casa.

Sul rating di impresa, destinato a valutare, in modo volontario, la reputazione conquistata sul campo dai costruttori, L’ANAC (dopo il Correttivo) ha appena cominciato a rimetterci mano. Altro stop importante della riforma incompiuta.

Su tutto questo scenario, la nostra preoccupazione centrale riguarda il fatto che il nuovo Codice avrebbe dovuto dare regole stabili, semplici e flessibili, disegnando la cornice normativa più avanzata possibile ed in linea con l’Europa, per fare da rampa di lancio alla ripresa degli investimenti in un settore, quale quello delle costruzioni, bloccato da dieci anni. 

Ovviamente nessuno di noi pensa che l’impulso alla ripresa economica –anche nel nostro settore – possa passare automaticamente e semplicemente da una legge. Ma pensavamo che l’idea di fondo fosse quantomeno quella di spazzare il campo dalle storture e i labirinti normativi del passato.

E invece – a distanza di oltre un anno dal nuovo Codice, e nonostante che i principi di fondo (legge delega) quali la trasparenza, la qualificazione del mercato e delle stazioni appaltanti, l’indipendenza dei commissari di gara, la vigilanza e la regolazione flessibile dell’ANAC siano stati condivisi da Governo, Parlamento e imprese – il bilancio sul nuovo codice dei contratti pubblici rischia di essere negativo.

Ciò preoccupa ancora di più perché getta un’ombra sulle chance di successo di questa ennesima riforma di un settore da cui passa una spesa da oltre 100 miliardi di euro all’anno (tra lavori, servizi e forniture) e su cui all’inizio avevano scommesso tutti.