“Sostengo con forza la vostra proposta per favorire l’autoproduzione di energia da parte delle piccole imprese. Ci vuole una spinta per accelerare la transizione e far sì che tutte le imprese lo facciano”. E’ quanto afferma l’economista Leonardo Becchetti, tra i maggiori esperti sui temi dell’energia, in un’intervista con CNA.it nella quale parla di gas, comunità energetiche e sistema di incentivi.

 

Domanda – La guerra in Ucraina ha acuito le tensioni sui costi energetici. Il prezzo dell’energia è destinato a rimanere elevato in modo strutturale anche in caso di una soluzione politica del conflitto?

Becchetti – Quello che gli operatori dovrebbero aver presente è che non ci libereremo facilmente della volatilità dei prezzi del gas e del petrolio. C’è tutta la sensazione di essere entrati in una nuova fase di guerra fredda ed è molto difficile dopo quello che è successo che, anche in caso di cessate il fuoco e di fine del conflitto, le tensioni si appianino subito e si torni alla situazione di prima. Difficile pensarlo.

 

L’emergenza energetica ha evidenziato una serie di debolezze del sistema italiano sia in termini geografici degli approvvigionamenti e sia come composizione del mix. E’ praticabile rinunciare al gas della Russia già nel breve termine?

Il gas russo rappresenta circa il 19 percento del nostro fabbisogno complessivo di energia. Con le rinnovabili (escluso l’idroelettrico) siamo al 16 percento circa. Paesi come la Norvegia sono oltre il 60 percento e la Germania che già soddisfa il 40 percento di produzione di energia elettrica dalle rinnovabili prevede di arrivare all’80 percento entro il 2030. Non mi pare siamo meno dotati di materia prima (sole e vento) di questi due paesi. Ci sono tutte le condizioni anche tecnologiche per fare un grosso passo in avanti nei prossimi anni. Diciamo nel giro di 2-3 anni solo le rinnovabili potrebbero sostituire quel 19%.

 

Le fonti rinnovabili sono tornate di grande attualità. Eppure nel Pnrr la Missione 2 (60 miliardi) destina soltanto 6 miliardi alle FER. E’ possibile rivedere risorse e priorità del piano italiano?

Non c’è necessariamente bisogno di molti più soldi. Perché il dato di fondo è che le fonti rinnovabili convengono e sono un fattore di business se solo si libera il settore da alcune pastoie. Basterebbe per esempio accelerare gli iter dei progetti già presentati. O che le regioni indichino rapidamente come chiesto dal governo le aree geografiche nelle quali preventivamente si stabilisce che è possibile costruire impianti per accelerare e snellire l’iter delle autorizzazioni. E ci vogliono decreti attuativi intelligenti per le comunità energetiche che possono giocare un ruolo importante.

 

Sulle rinnovabili il governo sta intervenendo con le semplificazioni. E’ una misura sufficiente per ridare slancio alla realizzazione di impianti?

E’ molto importante ma non basta. C’è anche bisogno di potenziare l’efficienza della rete per accogliere tutta la nuova energia che verrà prodotta in modo diffuso ed immessa in rete. Gli investimenti per la smart grid vanno in questa direzione. Bisognerebbe rilanciare anche i progetti sul solare termodinamico, la tecnologia per intenderci degli specchi di Rubbia che è nata in Italia e che da noi per ora è stata bloccata mentre negli Emirati Arabi o in Cina si costruiscono impianti importanti. Si tratta di una tecnologia che aumenta la potenza del sole in quanto a capacità di creare energia.

 

La CNA ha presentato alla politica una proposta per favorire l’autoproduzione da parte delle PMI prevedendo un credito d’imposta del 50% sull’investimento, come per gli impianti residenziali. E’ verosimile accelerare sul fotovoltaico senza ingaggiare micro e piccole imprese?

Sostengo con forza questa proposta che ho fatto anche mia in interventi passati sulla stampa. Le aziende lungimiranti che prima dello scoppio della guerra avevano messo pannelli sui capannoni o comunque si erano dotate di propri impianti di produzione di energia ora hanno un vantaggio competitivo enorme rispetto a quelle che comprano gas sul mercato. Ci vuole una spinta per accelerare la transizione e far sì che tutte le imprese lo facciano. Al momento un credito d’imposta c’è (al 30%) ma solo per le sei regioni del Sud e con un plafond di risorse molto limitato. Seguendo la proposta della CNA si può e si deve fare molto di più. Con impatto positivo su salute, clima, costi per le imprese, creazione di posti di lavoro, indipendenza energetica.

 

Il sistema degli incentivi è fondamentale per orientare le scelte strategiche. La struttura dei bonus oggi in vigore è coerente con gli orientamenti di accelerare sulla transizione energetica?

Si è puntato molto sull’efficientamento energetico degli edifici (superbonus) contando sulla considerazione peraltro corretta che senza intervento pubblico il settore dell’edilizia residenziale non si sarebbe mosso. La situazione del paese oggi è tale che ci vuole una spinta anche verso le imprese. E soprattutto gli incentivi devono essere costruiti in modo intelligente. I fondi nel PNRR per l’agrivoltaico rischiano di produrre un topolino se chi fa gli impianti può fare solo autoconsumo.

 

Ha ancora senso premiare energivori e gasivori prescindendo dall’incidenza della bolletta sui costi complessivi dell’impresa? Se un’impresa gode di un consistente sconto sul prezzo dell’energia perché dovrebbe realizzare investimenti per migliorare l’efficienza energetica?

 

E’ proprio la questione che abbiamo posto come gruppo di lavoro al MITE. E’ un classico sussidio ambientalmente dannoso che crea incentivi perversi. Più è alto il consumo di energia per valore economico creato (tecnicamente l’intensità energetica per valore aggiunto lordo) maggiore l’incentivo. E’ come se si ipotizzasse un mondo a tecnologia fissa dove non esiste innovazione né possibilità di cambiare i processi produttivi. Bisogna cambiare questo tipo d’incentivo in due direzioni: guardare alla quota di energia prodotta da rinnovabili premiando chi la aumenta e premiare ci riduce il consumo di energia per valore economico creato. Ovviamente lo si potrà fare quando la situazione si calmerà perché adesso le aziende energivore dobbiamo aiutarle. Ma anche in questo caso per lo stato è molto meglio spendere soldi per una trasformazione strutturale che elimina la dipendenza energetica come quella proposta dalla CNA piuttosto che dissanguarsi con continui ristori per aiutare le aziende a pagare il costo del gas. E’ come se invece di investire in canne da pesca in un mare pescosissimo ci ostinassimo a comprare il pesce dall’estero dove qualcuno ce lo vende a carissimo prezzo e ci finanzia la guerra.

 

Clicca qui per leggere l’intervista a Becchetti su “Il Dubbio” del 13/05/2022.