A volte ci vuole molto tempo per mettere a frutto un progetto. A qualcuno è bastato solo un anno.

Era novembre 2017, poco più di un anno fa, quando Niccolò Cipriani, laureato in economia internazionale alla Bocconi, di rientro da un viaggio in Vietnam ebbe l’idea. Si accorse che gli indumenti prodotti, esportati in Occidente, se invenduti venivano rispediti in Vietnam per finire gettati in discarica o in un inceneritore.

Dal dire al fare il passo è stato breve, ci racconta. “Abbiamo deciso di dare una seconda vita a tutti quei vestiti che la gente non indossa più: raccogliamo gli indumenti usati dalle persone tramite il nostro portale web, li trinciamo, li trasformiamo in un nuovo filato e li riconfezioniamo in un nuovo accessorio o capo di abbigliamento che vendiamo sul nostro sito. Una volta logorati, le persone possono riconsegnarci di nuovo i vestiti così da riavviare il ciclo. Questo processo di economia circolare ci permette di riciclare scarti tessili, risparmiare risorse limitate come l’acqua e non utilizzare prodotti inquinanti”.

Una volta chiara l’idea e come svilupparla, Niccolò con la cugina Clarissa, specializzata in comunicazione e marketing, ha cercato il nome da dare all’impresa. “Volevamo identificasse principalmente la Toscana, richiamandone la tradizione, ma che potesse al contempo descrivere ciò che facciamo .‘Io rifò i vestiti’: così mi capitava spesso di spiegare semplicisticamente il progetto. Ed allora… la scelta è stata semplice”.

Supportata nei primi mesi da un crowfunding dai risultati sorprendenti, la start up propone un modello etico, sostenibile e alternativo a quelli classici dell’industria della moda, la seconda più inquinante al mondo, che coniuga innovazione tecnologica e tradizione in uno dei più grandi distretti industriali d’ Italia, il distretto tessile di Prato.

“Non è stato facile inserirsi in un contesto così tanto legato alla tradizione, punto di riferimento del ‘Made in Italy’ in tutto il mondo. Quando siamo partiti – ricorda Niccolò – abbiamo fatto molto scalpore perché nessuno si aspettava che si potesse rinnovare un’ area come quella in cui ci troviamo”.

Tutti i capi, oltre ad essere realizzati interamente nel raggio di 30 km, sono prodotti semi- artigianalmente “a calata” proprio dagli artigiani locali, specializzati in questa  tecnica tipica del pratese, che consiste nel tessere verticalmente a mano e tagliare successivamente. Ciò permette di ridurre notevolmente gli scarti.

La sostenibilità insieme alla responsabilità sociale è il fulcro dell’attività. “I capi in cashmere e lana vengono prodotti riducendo del 90% l’ uso di acqua, del 77% quello dell’ energia, del 90% i prodotti chimici, del 95% le emissioni di CO2 e del 100% l’ uso di coloranti” – ci tiene a precisare. Per ciascun acquisto, negli store fisici presenti in Italia e all’estero (Belgio, Francia, Svizzera, Germania, Irlanda, Inghilterra, Canada e Stati Uniti) o online, vengono devoluti 2 euro a dei progetti con finalità benefiche di alcune fondazioni del territorio toscano come il sostegno a mamme e ragazzi in difficoltà o di salvaguardia ambientale.

La scelta di un maglione, una sciarpa, un cappellino, dei guanti, dei calzini in cashmere rigenerato o cotone rigenerato non è solo una scelta di stile ma soprattutto una scelta di responsabilità sociale che ha un forte impatto sulla collettività.

La proposta di questo nuovo modello etico/economico risponde ad un’emergenza globale, ad una sentita voglia di ‘cambiamento’. Parola familiare a Niccolò che si è aggiudicato a novembre 2018 il terzo posto proprio al Premio Cambiamenti, indetto dalla CNA per premiare le startup innovative.

Vecchio non è sinonimo di inutile. Attraverso il suo progetto, che ha lanciato un trend virtuoso, Niccolò è ritornato alle origini, recuperato le proprie radici per rinnovarle, digitalizzarle  e vestirle non di sprechi ma di nuovo.

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