Mentre Il mercato dei lavori pubblici attende ancora che si faccia chiarezza – come promesso dal MIT – per le gare fino a 1 milione di euro nel caso si utilizzino le procedure semplificate (OEPV o criterio del prezzo?), mentre è certo che nella grande maggioranza dei bandi di gara sopra i 2 milioni di euro l’unico criterio di aggiudicazione utilizzabile è quello della OEPV con migliorie da apportare al progetto esecutivo posto a base di gara, a più di un anno dalla entrata in vigore del Codice è possibile tracciare un primo bilancio dei risultati dell’utilizzo del criterio di aggiudicazione dell’offerta più vantaggiosa.

La situazione è veramente preoccupante!

In una situazione in cui il peso degli aspetti qualitativi in una gara incide per il 70% dei punteggi da assegnare, alcune imprese riportano situazioni in cui non esiste nessun legame tra le migliorie dichiarate in alcune offerte e l’oggetto della gara stessa; così come si attribuiscono punteggi per gare di importo contenuto al rating di legalità, tralasciando il fatto che lo stesso non è possibile rilasciarlo alle imprese che fatturano meno di 2 milioni di euro l’anno, facendo così concorrenza sleale alle micro e piccole imprese.

Sovente si pongono in essere veri e propri condizionamenti della libera concorrenza.

Ad esempio ci sono situazioni in cui alcune stazioni appaltanti – sebbene non abbiano progettato seguendo i criteri minimi ambientali (i famosi CAM) – attribuiscono punteggi a chi esegue lavori e consegna elaborati finali dell’eseguito in ottemperanza ai CAM. In altre occasioni si premia chi ha maggiori risorse di personale e mezzi d’opera, favorendo immotivatamente le imprese di maggiori dimensioni a discapito delle piccole e medie imprese.

Gli «accordi quadro» rappresentano un altro esempio lampante in cui si privilegia l’accorpamento degli importi contrattuali a base d’asta, escludendo di fatto dal mercato le micro e piccole imprese non solo per quel singolo appalto ma per i lavori pubblici tout court in quel contesto.

Le imprese di costruzione, soprattutto quelle piccole e medie non possono più sopportare tale situazione. C’è troppa discrezionalità nelle mani delle stazioni appaltanti. E’ oltremodo necessario che queste si qualifichino, si accorpino e nasca al più presto l’albo dei commissari di gara istituito presso l’ANAC.

Ad aggravare la situazione e nel caso specifico delle procedure negoziate imperversa quale criterio per selezionare gli inviti alla gara il sorteggio: è un sistema che deprime la qualità delle imprese e che bisogna correggere al più presto individuando criteri oggettivi. Tra questi, uno possibile potrebbe essere quello di riservare il 50% delle gare alle imprese locali: se al momento non si può fare ri-correggendo il codice, allora lo si inserisca nelle leggi regionali sui lavori pubblici (seguendo l’esempio positivo della Toscana).

In sintesi, CNA Costruzioni è seriamente preoccupata che si aggiri – attraverso un comportamento di alcune stazioni appaltanti, nel migliore dei casi dettato dall’impreparazione al “nuovo”, nel peggiore dalla volontà discriminatoria – uno dei principi ispiratori del nuovo Codice che abbiamo salutato con grande soddisfazione, vale a dire il tentativo di allargare gli spazi di accesso al mercato dei lavori pubblici alle micro e piccole imprese del settore costruzioni.