I dati ISMEA sono a dir poco sconfortanti. Una delle eccellenze del made in Italy come la produzione dell’olio di oliva è ai minimi storici. Quali le cause?

Abbiamo provato a chiederlo a Francesca Petrini, portavoce nazionale CNA Agricoltori e frantoiana.

“Credo che un nostro intervento sia quantomai opportuno – afferma Petrini. Gli interventi a cui faccio riferimento – continua –  ,in primis, riguardano la necessità di piantare più olivi. Abbiamo bisogno di poter contare su un patrimonio olivicolo maggiore perché l’olivicoltura rappresenta oggi uno dei settori maggiormente sostenibili in Italia anche in considerazione della sua funzione paesaggistica connotando fortemente l’identità territoriale.

In Italia, quando va bene, produciamo dalle 380 alle 400 mila tonnellate di olio all’anno e ne consumiamo 660 mila (gap di 250 mila tonnellate). Se si considera che ne esportiamo più di 400 mila, confermandoci leader mondiali, il gap / deficit si fa ancora più pesante. Tra l’altro contiamo su una biodiversità olivicola enorme, fatta da almeno 500 varietà diverse contro le pochissime (si contano sulle dita di una mano) della Spagna. Quindi molto si può e si deve ancora fare.

Inoltre, le Regioni, – aggiunge il portavoce – data la loro autonomia in fatto di agricoltura che le rende titolate ad emanare i PSR , dovrebbero spingere l’acceleratore sugli investimenti in olivicoltura (terreni, macchinari/attrezzature, marketing, ricerca e sviluppo, fiere) in considerazione delle cospicue dotazioni finanziarie andando anche a snellire le procedure e soprattutto le istruttorie .

Tra gli interventi non può non essere considerato il problema della Xylella, che va affrontato in maniera seria per evitare il contagio in altre zone d’Italia.

Occorre, inoltre – continua Petrini – favorire la cultura del consumo dell’olio extra vergine. Troppo spesso ultimamente si sentono messaggi distorsivi di quello che è il  reale valore nutrizionale dell’olio, non paragonabile a nessun altro grasso alimentare nè ad altri oli come quello di semi, di lino o di soia che non reggono nessun paragone con l’olio d’oliva che puo’ e deve essere usato in cottura e in frittura oltre che a crudo .

E’ necessario anche portare l’educazione alimentare, basata sulla dieta mediterranea, nelle scuole come materia obbligatoria e che questa venga rispetatta anche all’interno degli ospedali.

Bisognerebbe, infine, – conclude il portavoce Petrini – snellire le procedure di inserimento flussi olio in entrata/uscita nel SIAN attraverso dati aggregati e abolire la certificazione antincendio, inutile fardello visto il rischio quasi pari a zero.”

 

Per approfondire sul sito ISMEA i dati della produzione di olio d’oliva cliccare qui.