Il 25 Marzo 2017, a Roma,  si riuniranno i 27 Rappresentanti dei Governi Europei, dei rispettivi Parlamenti, gli Attori Sociali europei e nazionali, rappresentanti della società civile e movimenti politici per ricordare l’anniversario della Firma dei Trattati istitutivi della Comunità Economica Europea a  Roma sessanta anni fa.

Le celebrazioni, già  iniziate da alcuni giorni, prenderanno inizio con il “Summit” dei Partner Sociali Europei e dei Ministri del Lavoro dell’Unione Europea anche per testimoniare l’importanza di riprendere il cammino europeo da comuni problemi sociali e dai progressi registrati nel corso del processo di integrazione europeo.

Sessanta anni di pace, benessere e stabilità in Europa vengono oggi ricordate in un clima profondamente diverso da quello del 1957 sia sotto il profilo storico,  economico-sociale e geo-politico. Gli effetti dovuti all’accelerazione dei processi di globalizzazione rappresentano spesso fattori di instabilità ed incertezza delle  opinioni pubbliche imponendo ai Governi, alle forze politiche e sociali, decisioni lungimiranti.

L’Europa deve oggi affrontare nuove sfide economiche e complessi fenomeni sociali fortemente interconnessi , quali:  l’emersione di nuove potenze economiche (Cina, India, Russia, Brasile ed altre) ed i crescenti divari/integrazione tra gli Stati appartenenti all’ ”area Euro”, l’instabilità nei  confini esterni e la sicurezza interna all’Unione, l’emergenza rifugiati e la gestione flussi migratori, l’alta disoccupazione e gli scarsi investimenti pubblici e privati accompagnati dal prolungarsi della crisi economica, l’ approfondimento  divari  socio-economici tra i paesi europei, la BREXIT ed i  recenti orientamenti “protezionistici” della nuova Amministrazione Statunitense.

Tutto ciò,  ha visto crescere nella società europea  vecchi e nuovi movimenti xenofobi, populisti e nazionalisti che hanno messo a dura prova la tenuta democratica e sociale oltre alla sovranità politica dei sistemi nazionali.  Nel 1957 il divario nei sistemi istituzionali era profondo: soltanto 12 degli attuali 27 Stati Membri dell’UE potevano considerarsi democrazie parlamentari compiute in un’Europa che oggi conta  27 Stati Membri, con l’uscita della Gran Bretagna.  Oggi, comunque, l’Europa può essere considerata  la più estesa “Unione” di democrazie esistente al mondo fondate su obiettivi comuni e strumenti per garantire benessere economico nell’ambito di un’economia sociale e di mercato  unica nel suo genere nel mondo.

Per raccogliere le nuove sfide comuni di ieri ed ancor più di oggi, l’Europa forse dovrebbe riscoprire le scelte rivelatesi strategiche già nei primi anni cinquanta anche a partire da  quelle politiche di sviluppo economico europeo rivolte alle imprese ed al benessere dei cittadini.

Per le Piccole e medie imprese gli ultimi  25 anni di Unione Europea hanno visto profondi e positivi mutamenti nelle politiche per la concorrenza e nelle politiche commerciali dell’UE, nuove opportunità ed abitudini per le imprese ed i consumatori nell’ accesso al Mercato Unico con l’abbattimento delle barriere esistenti,  la  libera  circolazione dei fattori della produzione  nel 1992,    15 anni dall’introduzione dell’Euro quale moneta unica  in 19 Stati Membri.

Le politiche per l’impresa dell’Unione Europea  hanno contribuito nel corso degli ultimi decenni anni alla crescita del benessere e dell’occupazione del Mercato Interno. Notevole è stato il contributo delle piccole e medie imprese, che hanno rappresentato uno dei principali “motori” del processo di integrazione realizzatosi con il Mercato Interno.

Le Piccole e Medie imprese (PMI), sono oltre 23 milioni in Europa, costituiscono oggi il 99% delle imprese, rappresentano due terzi dei posti di lavoro nel settore privato ed oltre il 50% del valore aggiunto realizzato nell’UE. La gran parte di esse, nove su dieci, sono micro imprese con meno di dieci dipendenti. Oltre il  30% di micro PMI europee hanno relazioni con operatori internazionali ed oltre il 50 % di queste hanno intrattenuto attività di trading import/export in mercati terzi e nelle catene del valore globale (fonte CE). In particolare, il settore dell’autotrasporto su strada, della produzione di beni e servizi, alimentare, costruzione ed altri.

Per comprendere meglio l’evoluzione delle politiche volte ad assicurare la loro competitività in questi ultimi tre decenni, dobbiamo risalire all’Anno Europeo per l’artigianato, promosso nel 1983 dalla Commissione Europea e dal Parlamento Europeo: quella iniziativa costituì il primo embrione di una politica europea per le imprese di minore dimensione,  caratterizzate da proprie specificità, professionali, storico – culturali e territoriali.

E’ soltanto del 16 novembre 1990 la Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo che reca il titolo “La politica industriale in un contesto aperto e concorrenziale”, documento che ridefinisce la visione dell’intervento pubblico. Vi si afferma che la Comunità Europea deve creare un clima imprenditoriale più favorevole attraverso l’identificazione di “catalizzatori” dell’adeguamento strutturale” e di “acceleratori” del funzionamento del mercato, identificati, per citarne alcuni, nella ricerca, nello sviluppo tecnologico e nella formazione delle risorse umane.

L’inserimento dell’accordo sulla politica sociale nel trattato CE, a seguito dell’entrata in vigore del trattato di Amsterdam, ha  consentito di applicare un quadro unico al Dialogo Sociale Europeo di cui anche le organizzazioni delle PMI e la CNA furono parte fondante con l’apertura di un proprio ufficio a Bruxelles. Il risultato di questo processo a livello interprofessionale è stata l’adozione di Accordi Quadro sul congedo parentale (1995), sul lavoro a tempo parziale (1997) e sul lavoro a tempo determinato (1999), che sono stati attuati attraverso direttive del Consiglio.

Nel giugno del 2000 viene  adottata la “Carta Europea  delle PMI” dal Consiglio dell’Unione svoltosi a S. Maria da Feira, dove vengono stabilite un insieme di azioni a favore delle PMI. Alla Commissione viene affidato compito di controllarne i risultati conseguiti, con specifico riferimento a: formazione all’imprenditorialità, avviamento meno costoso e più veloce, migliore legislazione e regolamentazione e rappresentanza più efficace degli interessi delle piccole e medie imprese.

Dal 2000 in poi, è un susseguirsi di programmi e strategie.

In seguito con l’adozione della “Strategia di Lisbona”, lanciata dal Consiglio europeo del 23 e 24 marzo 2000 a Lisbona, l’UE  si impegnò, a “diventare entro il 2010 l’economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo”.

Seguirono vari aggiornamenti di tale strategia fino al suo definitivo abbandono nel 2010, a seguito dell’accertamento, nel 2005, che gli obiettivi fissati nel 2000 non erano stati realizzati  anche a seguito della crisi finanziaria del 2008 ed alle implicazioni economiche ed occupazionali che ne  derivarono  nell’intero continente europeo.

Con la Comunicazione nel giugno del 2008, la Commissione Europea introdusse lo “Small Business Act” per l’Europa (SBA), che conferì un “approccio politico globale” allo spirito imprenditoriale, ed invitò le Istituzioni (a tutti i livelli) a “Pensare anzitutto in piccolo” nei processi decisionali (dalla formulazione delle norme al pubblico servizio) oltre a promuovere la crescita delle PMI, aiutandole ad affrontare i problemi che continuano ancora oggi ad ostacolarne lo sviluppo.

Lo SBA, per la prima volta, propose un quadro politico articolato e introdusse dieci principi per guidare la formulazione e l’attuazione delle politiche sia a livello UE che degli Stati membri, così che sia possibile dare vita a un contesto in cui gli imprenditori e le imprese familiari potevano prosperare, formulò regole per  “Pensare anzitutto in piccolo”, e le stesse siano incoraggiate e sostenute e possano beneficiare della crescita dei mercati.  Lo SBA, purtroppo, resta in molti Stati Membri e realtà regionali dell’UE,  una mera dichiarazione di principi cui non è stato seguito con una politica

Dopo una serie di comunicazioni tra il 2012 e il 2014, volte a contrastare il declino industriale e incrementare il contributo al PIL da parte dell’industria manifatturiera, la Commissione ha adottato il Piano di Azione Imprenditorialità 2020.  Il piano propone una serie di misure per sviluppare l’istruzione e la formazione all’imprenditorialità, per creare un contesto favorevole alla crescita delle PMI e per diffondere nuovi modelli culturali e di comunicazione sul ruolo degli imprenditori.

La strategia Europa 2020 mira a una crescita che sia: intelligente, grazie a investimenti più efficaci nell’istruzione, la ricerca e l’innovazione; sostenibile, grazie alla decisa scelta a favore di un’economia a basse emissioni di CO2; e solidale, ossia focalizzata sulla creazione di posti di lavoro e la riduzione della povertà. La strategia è imperniata su cinque ambiziosi obiettivi riguardanti l’occupazione, l’innovazione, l’istruzione, la riduzione della povertà e i cambiamenti climatici/l’energia.

Oggi la politica industriale dell’Unione Europea trova il suo fondamento nell’articolo 173 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, secondo cui “ L’Unione e gli Stati membri provvedono affinché siano assicurate le condizioni necessarie alla competitività dell’industria dell’Unione”.

Tuttavia, indipendentemente dal loro ambito operativo, le PMI sono oggetto di intervento del Legislatore europeo in  molti campi, come quello fiscale (articoli da 110 a 113 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea (Trattati Funzionamento UE, TFUE), della concorrenza (articoli da 101 a 109 del TFUE) e del diritto societario (diritto di stabilimento — articoli da 49 a 54 del TFUE). La “definizione di PMI” della Commissione è contenuta nella raccomandazione 2003/361/CE sulla base della quale vengono delineate politiche di incentivo e sostegno a livello UE (le politiche di coesione ed i fondi strutturali), le normative tecniche e gli standard sui prodotti, le normative commerciali e dell’Unione Doganale,  le normative ambientali  e sugli appalti che richiedono interventi di  semplificazione ed attenta rivisitazione da parte delle Istituzioni Comunitarie.

La CNA  è stata leader delle organizzazioni di rappresentanza degli interessi delle PMI a livello europeo per far si che tali politiche per l’impresa rispondessero  alle nuove sfide poste dal mutato contesto economico sin dagli anni ‘80.

In tale contesto, tra le organizzazioni maggiormente rappresentative delle PMI in ambito non – agricolo, la CNA (Confederazione dell’Artigianato e delle Piccole e Medie Imprese) è la prima a favorire strumenti di rappresentanza autonoma europea (EMSU, Europmi e oggi UEAPME) in grado di proporre un quadro di Dialogo Sociale Europeo  con le organizzazioni dei lavoratori,  ad occuparsi anche di normazione tecnica (con la promozione dell’organismo europeo per le norme tecniche a misura di PMI, oggi denominato, “Small Business Standard) e di comunicazione e sostegno delle imprese associate per quanto riguarda l’accesso alle opportunità loro offerte nel Mercato Interno e la partecipazione diretta al complesso processo decisionale comunitario ed ai suoi programmi di supporto delle PMI (lo strumento PMI nel Programma  “Orizzonte 2020”, il Programma COSME, il Fondo Straordinario per gli Investimenti EFSI).

A sessanta anni dai Trattati di Roma,  si rende necessario ed urgente, un “cambio di rotta”, un’ assunzione di responsabilità per un’Europa Politica a pieno titolo e  capace di offrire soluzioni  idonee a superare i divari socio-economici esistenti, a favorire la ripresa degli investimenti interni ed internazionali, a formare una “voce unica” negli organismi internazionali, di dotarsi di un sistema di difesa e sicurezza interna al passo con i tempi,  ad una gestione comune delle politiche migratorie,  rilanciando la vocazione manifatturiera europea di cui le PMI sono una componente essenziale.

I  fragili segnali di ripresa sono ancora insufficienti per far riassorbire gli alti livelli di disoccupazione che affliggono molte regioni d’Europa . Da qui si deve partire se si vuole delineare un futuro realistico per il processo di integrazione europeo.

Tutto ciò non può ovviamente prescindere da aggiustamenti nella “governance microeconomica” per evitare politiche contraddittorie e frammentarie tra gli Stati membri. Un’industria competitiva è il presupposto essenziale per ridare all’Europa il suo ruolo di protagonista globale. Si tratta di focalizzare l’attenzione sull’economia reale e sulle PMI  per  realizzare un’autentica politica industriale  ed una  coerente politica commerciale per rispondere alla crisi economica ed alla crescente aggressività commerciale dei Paesi terzi.

Per far ciò bisogna però agevolare l’accesso delle imprese ai mercati e ai fattori di produzione, a partire dal credito, investire nell’innovazione delle micro-PMI come fonte di competitività,  migliorare e semplificare il quadro normativo  nel rispetto del principio dello SBA, “pensa prima al piccolo” , adottando il principio di proporzionalità delle norme ed applicando con sistematicità il “test PMI”. Per questo proponiamo con urgenza al Parlamento Europeo ed alla CE una  “Road Map ” per la realizzazione di un Piano di Azione Multiannuale per le micro PMI” a 35 Anni dall’ ”Anno Europeo dell’artigianato e della piccola impresa” (1983) .