«Non c’è più tempo, dobbiamo unire adesso le nostre forze e urlare a una sola voce il nostro più fermo e imperativo basta». Alla vigilia dell’8 marzo, di fronte ai dati sempre più preoccupanti di casi di violenze e aggressioni con vittime le donne, Cinzia Fabris, presidente di CNA Vicenza non ci sta più. «Ogni anno, di questi tempi, ci riempiamo tutti di belle parole e tante buone intenzioni. Al lavoro, per la strada, sui giornali, sui social: ovunque sembra di assistere a un grande “mea culpa” di massa, da parte di una società che sì, sa che il problema è reale, ma il giorno dopo sembra tornare a voltarsi dall’altra parte. E la conta delle vittime di omicidi, stupri o violenze riparte sempre uguale, come se nulla fosse. A tutto questo dobbiamo dire basta, ma per davvero: basta con il mettere la testa sotto la sabbia, basta con l’accorgersi quando ormai è troppo tardi che la misura è colma da tempo. Abbiamo il dovere morale di ammettere per primi a noi stessi che la violenza non è un problema di pochi, è un problema di tutti. Non è malato soltanto chi compie violenza, è malata una società che non si accorge di quanto questa piaga la stia uccidendo da dentro. Oggi parlare di contrasto alla violenza vuol dire più spesso proporre rimedi e soluzioni quando ormai il male ha già lasciato lividi. E a volte non basta nemmeno questo se pensiamo a quante denunce rimangono disattese, con conseguenze al limite del paradosso che farebbero sorridere, non ci fosse da piangere. Questo io come donna non posso accettarlo più, e come me non possono accettarlo gli uomini e le donne per bene stanchi di sentirsi in colpa per non essere riusciti a fare abbastanza, ogni volta che il giornale ci racconta di un’altra famiglia di fronte a un posto vuoto a tavola. Perché in fondo anche l’essere rimasti solo a guardare a volte pesa come il peggiore dei peccati. Ecco io sono davvero stanca di tutto questo. Se vogliamo cambiare le cose dobbiamo diventare consapevoli adesso che ci siamo dentro tutti. Dobbiamo sentirci responsabili del modello di società che insegniamo ai nostri figli, del modo in cui noi per primi interpretiamo il significato di rispetto di genere a casa o al lavoro. O facciamo di tutto per non dover contare altre vittime, o purtroppo in parte siamo tutti complici. E chiedere scusa non serve a niente».