La spesa per gli alimenti e bevande è costata agli italiani quasi due miliardi di euro in più rispetto allo scorso anno, a fronte però di una riduzione delle quantità acquistate. È quanto emerge in sintesi dall’ultima rilevazione dell’Osservatorio ISMEA-NielsenIQ sugli acquisti alimentari domestici relativa al primo trimestre di quest’anno.

L’inflazione, seppur in rallentamento su base annua, continua a rimanere su valori particolarmente sostenuti soprattutto nel settore alimentare, dove ISTAT certifica un +12,6% a marzo. In questo contesto l’incremento medio dello scontrino dell’8,6% indicato da ISMEA riflette una contrazione delle quantità acquistate e l’adozione di strategie volte al risparmio, soprattutto da parte dei nuclei a basso reddito, senza particolari differenze tra Nord, Centro e Sud della Penisola.

Secondo l’analisi, tra le diverse tipologie di famiglie acquirenti sono quelle con figli adolescenti (le cosiddette maturing families) a fare i maggiori sacrifici. Per loro l’aumento dello scontrino rimane sotto al 2% ma il carrello si svuota di quasi il 13% delle quantità. Di contro i nuclei familiari molto giovani (pre-family) e gli anziani senza figli a carico riducono solo di pochissimo i volumi acquistati, con esborsi maggiori rispettivamente del 7% e dell’11%.

Tra i vari canali distributivi, il discount con uno share che ha superato il 20%, è quello in cui si registra il maggior scostamento tra aumento della spesa (+8%) e riduzione in volume degli acquisti (-8%), a conferma del fatto che sono le famiglie basso spendenti a subire maggiormente le conseguenze del carovita.

A tal proposito la Presidente nazionale CNA Agroalimentare Francesca Petrini afferma: “Ci rendiamo perfettamente conto che l’aumento del carrello della spesa rappresenta un problema per le famiglie italiane ma, bisogna tenere conto che gli aumenti che le imprese dell’agroalimentare hanno subito da giugno 2021 ad oggi sono ben superiori all’8.6%. Dall’aumento del costo degli imballaggi, vetro, film plastici, materie prime, che hanno fatto registrare un incremento almeno del 25%, fino ad arrivare ai costi energetici più che triplicati”.

Analizzando le diverse categorie, nel primo trimestre, la spesa risulta in aumento per tutti i comparti alimentari con incrementi a doppia cifra per uova (+20%), latte e derivati (+18%), derivati dei cereali (+13%) e lievemente inferiori per le carni (+9%). Nel reparto ortofrutta la spesa cresce di oltre il 3% con variazioni dei prezzi correlati anche a fattori meteorologici e dinamiche produttive che rendono difficile una lettura generalizzata.  Gli acquisti di oli vegetali crescono del 5% ma il confronto avviene su un 2022 segnato da rincari record, trainati dall’olio di semi (+52% il prezzo di quello di girasole). Il comparto delle bevande registra un incremento di spesa complessivo dell’8,5% al quale contribuiscono soprattutto le bevande analcoliche, in un contesto di spesa invariata e contrazioni in quantità per i vini e di rialzi della spesa inferiori alla media e riduzione in volume delle birre. Per i prodotti ittici, dopo un 2022 in forte flessione, torna a crescere la spesa, trainata questa volta proprio dal segmento del fresco che era stato il più penalizzato nella scorsa stagione. Il pesce fresco infatti è l’unica voce a registrare un recupero dei volumi (+2%) che, associato all’incremento dei prezzi, fa crescere la spesa del 6,7%. A fronte di ciò, importanti rinunce dei consumatori hanno interessato sia i prodotti ittici surgelati che le conserve ittiche.

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