Lo sblocca-cantieri non sblocca l’economia circolare

L’intento voleva essere positivo ma, nei fatti, una norma poco chiara contenuta nel decreto sblocca cantieri rischia di tenere bloccata l’economia circolare. C’è un lungo elenco di rifiuti che potrebbero essere esclusi dal processo di riciclo, rimanendo fuori dalla disciplina del cosiddetto end of waste che definisce i criteri in base ai quali un rifiuto può diventare nuovamente risorsa. Rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche, inerti, pneumatici, rifiuti da spazzamento strade, vetroresina e oli esausti. Sono solo alcune tipologie di rifiuto che rischiano di essere escluse dalla norma sull’end of waste e quindi dalle opportunità  di riciclo con gravi problemi nel ciclo di gestione e inevitabili aumenti dei costi per lo smaltimento dei rifiuti, il tutto a discapito dell’ambiente.

L’Italia può mostrare risultati positivi rispetto agli obiettivi di riciclo, uno dei cardini dell’economia circolare. Ma da oltre un anno il sistema delle imprese (chi smaltisce i rifiuti e chi li produce) è alle prese con una situazione ai limiti del caos per effetto dalla sentenza del Consiglio di Stato 1229/2018 che è intervenuta su uno dei tanti terreni in cui si intrecciano norme europee e nazionali e si sovrappongono competenze statali e regionali.

Il codice ambientale, che ha recepito le disposizioni comunitarie sulla cessazione della qualifica di rifiuto, prevede di stabilire i criteri di end of waste per specifiche tipologie di rifiuto attraverso riferimenti europei e, in mancanza di questi, con uno o più decreti del Ministro dell’ambiente. Un percorso che, però, è risultato estremamente lungo, considerando le poche fattispecie disciplinate sia con regolamento comunitario (rottami di metalli, rame e vetro) che con decreti nazionali (al momento della sentenza si aveva solo quello sul combustibile solido secondario-Css; nel frattempo sono andati avanti i decreti sul fresato d’asfalto e sui pannolini). Nel frattempo, gli impianti hanno potuto operare grazie al ruolo delle Regioni che hanno rilasciato le autorizzazioni “caso per caso” laddove non erano stati individuati specifici criteri a livello comunitario e nazionale. Con la sentenza del Consiglio di Stato c’era stato lo stop per molti impianti con l’autorizzazione in scadenza, se non rientravano in quelle pochissime tipologie definite dall’UE e dal ministro dell’Ambiente. Il Consiglio di Stato ha stabilito in sostanza che le autorizzazioni non possono essere rilasciate dalle Regioni in assenza di criteri stabiliti a livello centrale; una sentenza che non ha alcun appiglio normativo e che, al contrario, viene smentita dalla nuova Direttiva Europea sui rifiuti che l’Italia dovrà recepire entro il 2020.

Le associazioni rappresentative delle imprese hanno chiesto in coro un intervento legislativo per superare l’emergenza. Con la conversione del dl sblocca cantieri è stata approvata una norma correttiva. Lodevole l’intenzione ma l’effetto concreto rischia di essere poco più che trascurabile. La via più semplice ed efficace sarebbe stata quella indicata da CNA e da molte altre Associazioni. Introdurre una norma transitoria in base alla quale le Regioni possono continuare ad autorizzare caso per caso in attesa della puntuale definizione da parte dello Stato. La modifica introdotta con lo sblocca cantieri (che è diventato legge) invece prevede la possibilità transitoria ma limitatamente a quanto disciplinato da un decreto di 20 anni fa. Solo le tipologie di rifiuto e le tecnologie previste in un decreto del 1998 potranno essere autorizzate dalle Regioni.

Un salto nel passato e un’occasione sprecata.