La richiesta dell’Italia di applicare il meccanismo del “reverse charge” alle prestazioni di servizi effettuate dai consorziati ai consorzi, a loro volta aggiudicatari di una commessa nei confronti della P. A. e dunque obbligati a fatturare secondo le regole dello split payment, non trova autorizzazione favorevole da parte della Commissione Europea (cfr. Comunicazione della Commissione al Consiglio, 21 giugno 2018 COM(2018) 484 final).

Come noto l’applicazione del “reverse charge” nei rapporti interni tra consorziati e consorzi, dove questi ultimi hanno sottoscritto un contratto di appalto con un ente pubblico, è subordinata all’autorizzazione del Consiglio europeo, come stabilito dall’articolo 17, comma 6, lett. a-quater), del D.P.R. n. 633/1972, lettera inserita dall’art. 1, comma 128, L. 28 dicembre 2015, n. 208, in vigore dal 1° gennaio 2016.

L’Italia, dunque, ha presentato apposita richiesta di autorizzazione protocollata dalla Commissione europea il 19 luglio 2016, per introdurre nel nostro ordinamento una misura di deroga  all’articolo 193 della direttiva IVA 2006/112/CE, che disciplina il meccanismo del “reverse charge”.

Dalla comunicazione della Commissione europea emerge che l’Italia nell’argomentare la richiesta di autorizzazione non ha motivato la volontà di evitare i danni finanziari provocati dallo split payment, in specie nei consorzi. Nella richiesta non è stato neanche sottolineato che l’applicazione del “reverse charge”, nei rapporti tra consorziati e consorzi, sarebbe limitata solamente ai lavori assegnati al consorzio dalla PA per cui si rende applicabile il meccanismo dello “split payment”.

Nelle motivazioni della richiesta si legge solamente “che l’introduzione dell’inversione contabile per la cessione di beni e la prestazione di servizi tra i consorzi e i consorziati garantirebbe l’immediata riduzione dei meccanismi di evasione fiscale, quali la mancata dichiarazione e/o il mancato pagamento dell’IVA allo Stato da parte dei consorziati. Potrebbe inoltre costituire un deterrente per i potenziali evasori e aumentare l’efficacia dei controlli fiscali grazie al numero limitato di consorzi da sottoporre ad audit.”

Dal momento che le vere motivazioni all’introduzione della norma non sono certo quelle riferite ad una paventata evasione fiscale nei rapporti tra consorzio e consorziati, varie sono state le richieste di informazioni da parte della Commissione sull’adozione della misura di emergenza, a fronte delle quali l’Italia non ha dimostrato né la natura né la portata degli eventuali problemi di frode derivanti dal rapporto tra i consorzi ed i consorziati.

La mancata autorizzazione da parte della Commissione europea, ma ancor di più la mancata disponibilità del nostro Paese ad illustrare l’importanza di applicare il “reverse charge” nei rapporti interni tra consorziati e consorzi, così da ridurre la scarsa disponibilità finanziaria nel momento in cui questi si trovano ad operare con la P.A., non può certo essere accolta con favore.