L’evoluzione della rappresentanza nel cinema e audiovisivo

“In un momento in cui il Governo italiano, i ministeri competenti, il Mibact e Luce Cinecittà stanno tutti facendo la loro parte per sostenere il settore dell’audiovisivo duramente colpito dall’impatto dell’epidemia di COVID-19, Rai in assoluta controtendenza decide di tirare i remi in barca bloccando piano industriale e budget”: così si legge in una lettera indirizzata ai vertici Rai e ai titolari dei ministeri “competenti”, cioè Mef e Mise, oltre che a Mibacrt e Agcom. Gianluca Curti, presidente di CNA Cinema e Audiovisivo, e Claudia Pampinella, presidente di Doc/it, associazione Documentaristi Italiani, definiscono senza mezzi termini “immobilismo” quello del servizio televisivo pubblico. “Ci avevano illuso -spiegano- che il documentario italiano avesse finalmente lo spazio e l’attenzione che merita al pari degli altri generi televisivi”. Le motivazioni dell’appello? “Apprendiamo con sgomento spiegano Curti e Pampinella- che nel momento di massima difficoltà attraversato dal Paese il Cda Rai ha deciso all’unanimità di sospendere la riorganizzazione aziendale rimandandola a tempi migliori!”.

Una mossa in controtendenza nel momento in cui l’Europa e i vertici dello Stato invitano a liberare tutte le risorse necessarie per una forte ripartenza delle industrie strategiche italiane: l’audiovisivo è tra queste.

E ripercorrono le tappe della questione. Nel variegato settore della produzione indipendente, che comprende generi diversi come il cinema, la fiction, l’animazione, ce n’é uno, il documentario, che aspetta da vent’anni la fine di una assurda discriminazione perpetrata dalla Rai, che -caso unico tra i servizi pubblici d’Europa e forse del mondo- non prevedeva congrue quote di investimento e programmazione. L’azienda del servizio pubblico radiotelevisivo sembrava finalmente obbligata, con il varo di due importanti provvedimenti, a rispettare questi obblighi. Ma sono passati due anni dall’entrata in vigore del nuovo Contratto di Servizio, datato marzo 2018, e tre dalla “legge Franceschini”, di gennaio 2017, che le imponevano di indicare l’ammontare degli investimenti previsti nella produzione indipendente. A oggi non è dato sapere nulla al riguardo. Tantomeno “quali siano i piani per il futuro in un momento in cui l’infausta cancellazione di eventi sportivi. A cominciare dalle Olimpiadi previste per l’estate 2020 libera ingenti risorse finanziarie che possono essere indirizzate su un settore in grave sofferenza, riequilibrando peraltro gli obblighi di investimento verso la produzione indipendente” si legge nella lettera. Obblighi che tra l’altro porterebbero notevoli vantaggi per l’azienda e la produzione indipendente, così come dimostrato dall’esperienza della fiction italiana.

L‘appello di CNA Cinema e Audiovisivo e Doc/it Associazione Documentaristi Italiani alla Rai e al Governo è a nome dell’intera filiera dell’audiovisivo: la Rai rispetti “le quote di investimento nella produzione indipendente espressamente previste dalla legge Franceschini e dal Contratto di Servizio 2018-2022”.

Peraltro il servizio pubblico italiano fa marcia indietro rispetto agli impegni già presi con il varo del nuovo piano industriale e la creazione della “direzione e produzione documentari” con mansioni e finanziamenti simili a quelli degli altri servizi pubblici europei e la nomina a direttore di Duilio Giammaria. “Ci avevano illuso che Il documentario italiano avesse finalmente lo spazio e l’attenzione che merita al pari degli altri generi televisivi. E invece no. Indietro tutta” si legge nella missiva.

E mentre il servizio pubblico italiano tira i remi in barca, “in Europa le televisioni pubbliche dei vari paesi si sono impegnate a dare il loro contributo per sostenere la produzione indipendente”. Un esempio per tutti: “il servizio pubblico franco-tedesco Arte ha deciso di aumentare l’apporto finanziario ai contratti in corso e a quelli futuri del 15% per compensare almeno in parte la difficoltà del momento. Rai invece si chiude nell’immobilismo, insensibile a uno dei suoi compiti istituzionali. Quello appunto di sostenere e rilanciare la produzione indipendente”.

CNA Cinema e Audiovisivo e Doc/it definiscono “tradimento della missione di servizio pubblico” quello della Rai e chiedono agli interlocutori di obbligarla “al rispetto delle quote di investimento e programmazione e di procedere immediatamente alla completa ed operativa riorganizzazione delle direzioni” concludono.