Una ricchezza che l’Italia non può permettersi di disperdere. Quella delle imprese artigiane sottoposte a un’emorragia a ogni cambio di generazione: secondo la Commissione europea, solo il 33 per cento arriva alla seconda e appena il 15 per cento alla terza. Imprenditori non si diventa per costrizione né ci si improvvisa. L’attuale disciplina fiscale sulla cessione d’impresa mette a rischio nei prossimi dieci anni, secondo stime dell’Ufficio studi della CNA, oltre 600mila imprese. Una questione sottaciuta nel dibattito quotidiano sui media, ma vitale per il futuro del nostro sistema imprenditoriale. Se, infatti, il boom del “piccolo è bello”, ovvero del modello italiano vincente di piccola impresa (studiato in tutto il mondo), risale agli anni settanta-ottanta del Novecento, è evidente come oggi più della metà delle piccole imprese italiane abbia un titolare di oltre 60 anni.

Eppure, secondo i risultati di uno studio dell’Osservatorio permanente della CNA sulla tassazione delle piccole imprese in Italia, basterebbe poco per invertire questa tendenza. E’ necessario trasformare il trattamento fiscale previsto per la cessione d’impresa, che oggi comporta la tassazione delle plusvalenze per chi vende e del valore dell’azienda per chi acquista, in quello previsto per il conferimento d’azienda, che avviene in neutralità d’imposta. In caso di conferimento, infatti, il valore dell’azienda viene pagato con un corrispettivo in azioni o in partecipazione all’impresa. Chi vende non è soggetto a nessuna tassazione sulla plusvalenza e chi compra è sottoposto a tassazione agevolata.

Una piccola rivoluzione che permetterebbe agli imprenditori  di poter lasciare nelle mani migliori la propria impresa senza essere obbligati a svenarsi per il fisco. Né a imporre a figli che non possono o non vogliono (o magari nemmeno esistono) proseguire l’attività del genitore.

Nel nostro Paese la cessione d’impresa o di attività è favorita solo nel caso di successione o donazione, altrimenti è molto onerosa. Lo dimostra la simulazione, effettuata dall’Osservatorio CNA, su un’impresa tipo, quella di un produttore di infissi in legno, che prevede un corrispettivo di vendita pari a un milione, 600mila euro di valore dell’immobile che ospita il laboratorio, plusvalenze per 180mila euro e passività per 80mila.

 

Che cosa succede se l’impresa è donata a un figlio o al coniuge

Se l’impresa è ceduta a un figlio o al coniuge, la successione è equiparata alla donazione: in entrambi i casi il fisco è neutrale. A patto che l’attività d’impresa prosegua perlomeno per cinque anni, il titolare dell’impresa non paga nessuna imposta. chi subentra si limita a versare imposte di registro e di bollo: 500 euro in tutto.

Dal punto di vista amministrativo, essendo la ditta individuale, il titolare chiude la sua posizione gratuitamente e con una sola operazione, grazie alla comunicazione unica.

 

Che cosa succede oggi se l’impresa è venduta

Ben diversa la situazione nel caso in cui il titolare non voglia e, soprattutto, non possa (a esempio, se non ha figli) donare l’impresa ai familiari più stretti.

Se è in possesso dell’attività perlomeno da cinque anni sulla plusvalenza verrà applicata una tassazione separata che si ipotizza al 28 per cento (altrimenti la plusvalenza rientrerebbe nel calcolo dell’imponibile Irpef).

La cessione della propria impresa, in questo caso,  costa all’imprenditore 50.400 euro. Chi compra, invece, deve pagare, oltre al corrispettivo pattuito, ovviamente, il 9 per cento in imposte indirette sul valore dell’immobile e il 3 per cento sul valore delle altre attività, per un totale di 50.500 euro oltre a cento euro di imposte ipotecarie e catastali.

 

La proposta CNA: pagare come se fosse un conferimento d’azienda

Nel caso di conferimento d’azienda, la strada indicata dalla CNA per favorire la cessione d’impresa, il venditore non paga nessuna imposta sulla plusvalenza e il compratore paga solo imposte in misura fissa per 600 euro e un’imposta sostitutiva complessiva di 21.600 euro.

Poiché la compravendita è legata alla prosecuzione dell’attività, e per evitare speculazioni, la CNA propone di vincolare il passaggio in conferimento d’azienda alla prosecuzione della stessa attività per almeno cinque anni e chiede che venga applicata a chi acquista l’esenzione delle imposte indirette o, in alternativa, una misura fissa agevolata. Le perdite del fisco verrebbero compensate dai nuovi redditi e dalle nuove entrate tributarie garantite dall’attività imprenditoriale, altrimenti destinata nella stragrande maggioranza dei casi a perdersi. E la chiusura di un’impresa è sempre una sconfitta, e una perdita, per tutto il Paese.

In allegato lo studio integrale realizzato dall’Osservatorio permanente della CNA sulla tassazione delle piccole imprese in Italia